Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. II, 1928 – BEIC 1814755.djvu/9

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4 i marmi - parte terza


maraviglia tutti, ma il re Antioco prese di questa cosa gran vanagloria ancóra ch’un suo filosofo avesse sí ben parlato dinanzi a un principe forestiero pari ad Annibale; conoscendo che un principe savio non si debbe rallegrare di cosa maggiore che del condurre litterati, sostentar virtuosi e aiutare la virtú, acciò che la possi far luce a tutto il mondo. Domandò dopo la lezione il re al grand’Annibale quel che gli fosse paruto del suo grandissimo filosofo; onde gli fu risposto in questa o simil forma: — Io ho veduto, serenissimo re, a’ miei giorni molti vecchi aver perduto il cervello, ma il piú rimbambito vecchio di questo filosofo non viddi io né udí’ mai in tempo di mia vita, perché non è maggior segno di pazzia, d’un che fa il savio, che, sapendo d’una cosa poco, non presume d’insegnarne poco a chi manco ne sa, ma assai a chi molto piú di lui n’è intelligente per pratica e per scienza. Dimmi, re potentissimo, qual sarebbe quell’Annibale, udendo un omicciolo, che tutto il tempo della vita sua è stato in un cantone d’uno studio a lègger filosofia e poi si pone a cicalare dinanzi ad Annibale e disputare delle cose della guerra, che tacesse? E ne favella con quella audacia come s’egli fosse stato principe d’Africa o capitano di Roma. Veramente si può giudicare che egli ne sappi poco o che creda che noi manco ne sappiamo, sì come delle sue vane parole si può ricôrre, tenendosi per fermo che i libri amaestrin piú in parole il colonnello che non fanno le battaglie, gli assalti e le giornate con i fatti. O re, mio signore, che gran differenza è egli dallo stato de’ filosofi a quello de’ gran capitani! e che gran differenza troverebbe egli da lèggere nell’academia a ordinare una battaglia! Non han da far nulla le lettere del filosofo con l’esperienze del capitano valente; e se pur le si somigliano, le si confanno propriamente come le penne alle lancie. Or vedi, signor potente, con qual maniera di pratica si mena l’una e con qual forza e valor s’adopera l’altra. Questo povero filosofo non vide mai gente di guerra in campo, non vidde romper mai eserciti l’un con l’altro né udi il suono di quella tromba o quella tócca di tamburo che muove il cuore ad ardimento ai valenti e a codardia ai poltroni. Bisogna — disse