Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/135

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ragionamento settimo 129


Alfonso e il Conte.

Alfonso. Girandolino pur quanto che e’ vogliano, signor conte, ella è cosí e non lo crediate altrimenti; ché mai impareranno il numero dolce e sonoro e che sodisfacci all’udito come fa il nostro fiorentino, se non abitano la nostra cittá e ci pratichino familiarmente tutti noi; anzi, vi dico piú, che se da piccoli non si fanno, come uno è uomo fatto, la cosa è difficilissima; noi diciamo «egli ha fatto la piega».

Conte. Gran cosa che voi siate cosí abondanti di motti e detti che son garbati, i quali hanno un certo buono vivo e del pregno vivacemente, che io mai gli ho potuti accomodare a proposito del mio scrivere, come è stato cotesto del dire «egli ha fatto la piega».

Alfonso. Signor conte, non v’affaticate, ché mai, se gli studiaste mille anni, trovereste il loro luogo, se non l’avete da natura; noi ce ne abbiamo le migliaia, come dire: «Le son cose che non si gettano in pretelle; O vedi a che otta suona nona?; Di cotesto désse il convento!; Tu non ci vai di buone gambe; E’ sono una coppia e un paio; Io mi spicco mal volentieri da bomba; Forse che la non fa le gite a’ mártiri?» e infiniti modi di riprendere, d’amaestrare, da accusare, da difendere, da mordere, da indolcire, da trattenere e da licenziare. E certamente, vi torn’a dire, non vi ci affaticate a imparargli per iscritture o ricorgli in un libro, perché voi farete come colui che non sa disegnare e vuol ritrarre una figura, che, ancóra che egli sappia fare spezzatamente occhio, naso, orecchia, piedi, cosce, braccia, petto e reni, quando mette insieme, non sa appiccare i membri né assegnare i propri luoghi ai muscoli; cosí avverrá a voi del nostro motteggiare.

Conte. È gran cosa veramente! Io voglio dirvi dove io ho posto un de’ vostri motti: scrivendo a un amico mio e