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132 i marmi - parte prima


nulla. Oh che avvertente uomo! Se l’era parola goffa di donna, a donna goffa la pose in bocca e a tempo; se di villano, se di signore, se di plebeo e, brevemente, altri che lui non se ne sa servire che la calzi bene. A me pare che i traduttori de’ libri ci dieno il mattone alla lingua, perché, trovando delle cose latine che non le sanno in lingua nostra esprimere, caricano il basto di vocaboli, detti, numeri e suon di parole, che poco peggio si potrebbon dire. Noi abbiamo un nostro fiorentino gentiluomo che per ispasso s’è posto a tradurre l’istorie d’importanza e si porta tanto mirabilmente che le paiono scritte nella nostra lingua, e colui che l’ha fatte latine par che l’abbi mal tradotte. Bisogna poi guardarsi che le non dieno in correttori testericci, perché non vanno secondo gli scritti, ma fanno a modo loro: però si trova stampato un libro bene e male e una medesima parola in diversi modi. Alle cose d’Aldo v’è messer Paulo, a quelle del Giolito il Dolce, a quelle d’Erasmo1 il Clario: il Domenichi, signore eccellente, dottissimo in utriusque, attendeva al Morgante dello Scotto e al Boiardo. Vedete ora chi in quei tempi si portava meglio.

Conte. Come io torno da Napoli, dove sono per istare un mese, avrò caro d’essere informato d’alcune cose da voi altri signori che le sapete, circa alla lingua; se però vi degnerete insegnarmele.

Alfonso. Anzi non fia cosa che io sappia, o alcun fiorentino, che voi non siate per aver da noi in scrittura o in parole come desiderate. Poi che séte per far sí bel viaggio, voi mi porterete alcune lettere ad alcuni litterati e gentiluomini rari e mirabili, e vi fia caro di pigliar loro amicizia.

Conte. Intendo che vi sono intelletti divini.

Alfonso. Udite: voi troverete lo illustre signor Girolamo Libertino, uomo di grande autoritá, degno e mirabile, che ha un gentilissimo e litterato giovane suo figliuolo, virtuoso e raro, chiamato il signor Ascanio, vescovo d’Avellino.

  1. Valgrisio. [Ed.]