Pagina:Dopo il divorzio.djvu/129

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— È lui, è lui! — disse il condannato, — È il prete. Che uomo buono! Ma io non le voglio. No. Non le voglio.

— Tu sei stupido come un montone, — gli rispose il re di picche. — Prendile, altrimenti egli si offende. Non le voglio! Si risponde così ai benefizi?

— Ma io ho vergogna. E poi che devo farmene?

— Bere, mangiare. Ne hai di bisogno, credilo pure. Tu vorresti mandarle là, laggiù, che il diavolo ti liberi? Se fai quella bestialità ti sputo sul viso. Vedi, essa non ti scrive più, neppure...

— Che ha da scrivermi? — disse Costantino, cercando rassicurarsi. — Ora avrà del lavoro, l’inverno finisce.

— Ah, sì, finisce! E verrà la primavera! gridò l’altro, quasi minaccioso.

— Verrà.

— Verrà!

— Quando comincia il caldo al tuo paese? Da noi, in marzo fa già caldo.

— Oh, da noi in giugno. Allora è tanto bello, da noi. L’erba si fa alta, alta; si tosano le greggie, le api fanno il miele.

— Che idillio! Ah, tu non sai cosa vuol dire idillio? Ebbene, vuol dire... ... un corno! E aspettiamo giugno! È da molto che non ti confessi?

— Sì. Da quindici giorni.

— È da molto davvero! Ah, come sei cretino, mio caro! Io non mi sono confessato mai: ho la coscienza pura come specchio. Ecco, — disse poi, additando lo studente, che aveva il viso cereo e i