Pagina:Dopo il divorzio.djvu/131

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nima umana che, dopo morte, scontasse così grandi delitti. Fu messa la croce.

— E le corna, mio caro?

— Dicesi che il cacciatore, avvicinatosi, s’avvide che le corna s’erano fatte nere.

— Pof! Pof! Come siete sciocchi voi altri paesani! Ah, ecco che la primavera viene! — disse poi il re di picche guardando il cielo. — A me la primavera dà ai nervi. Sì, una volta ero anch’io cacciatore.

— Oh!

— Cacciavo negli stagni, vicino a Cagliari: ah, gli stagni! Parevano i frantumi d’uno specchio buttati qua e là dall’alto. Intorno c’erano tanti gigli violetti. E i fenicotteri passavano in lunghe file sul cielo così splendente che non si poteva guardare. Io chiudevo un occhio. Pum! Pum! Cadeva un fenicottero. Gli altri continuavano a volare, silenziosi, in fila. Io mi buttavo anche in mezzo allo stagno per prendere il fenicottero. Ero agile, sai, agile come un pesce: avevo diciotto anni.

— A che servono i fenicotteri?

— A niente: s’imbalsamano: hanno le gambe lunghe e sembrano di velluto. Hai tu veduto quei paesi? Ah, sì, è vero, tu sei stato nelle miniere e sei passato per Cagliari. Io tornerò laggiù per morire in santa pace.

— Lei è malinconica questi giorni!

— Che vuoi, caro amico? È la primavera; è così triste passar la Pasqua in prigione! Quest’anno farò il precetto pasquale.