Pagina:Dopo il divorzio.djvu/172

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galline procuravano di aiutarla nella raccolta dei chicchi.

Giovanna vagliava il grano, a capo chino, muta, assorta.

Dal portico si scorgeva lo spiazzo deserto, la casetta di zia Bachisia livida nella luce grigia vivissima del pomeriggio nuvoloso: un lembo di paese deserto, i campi gialli deserti, l’orizzonte di metallo.

Nuvole sopra nuvole gravavano sul cielo, piovendo un gran caldo e una quiete troppo intensa. Davanti al portico passò un ragazzo alto e scalzo, che conduceva due piccoli buoi neri: poi passò una donnina, scalza anch’essa, che guardò Giovanna con due grandi occhi chiari; poi passò un cane bianco e grasso, col muso per terra: niente altro interruppe il silenzio, l’afa grave e minacciosa.

Giovanna vagliava e mondava il grano sempre più lentamente; si sentiva stanca, aveva fame ma non di vivande, aveva sete ma non d’acqua, provava un bisogno fisico inesprimibile di qualche cosa introvabile.

Finito il suo lavoro si alzò e scosse le vesti, si curvò e cominciò a rimetter il grano dal canestro nella corba.

— Lascia, lascia, — disse premurosamente zia Martina — ti farà male.

Giovanna voleva portare ella il grano alla macina (una mola girata da un asinello, che macinava un ettolitro di grano ogni quattro giorni), ma la suocera non glielo permise e andò ella stessa.

Rimasta sola Giovanna entrò nella cucina, si