Pagina:Dopo il divorzio.djvu/20

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gazza, e saltò nel cortile palpitando nell’udire la voce del nonno e dello zio.

— Giovanna, salute, zia Bachisia come state? — diceva la voce calda dello studente. — Io bene, grazie al Signore! Oh, mi dispiace tanto la vostra disgrazia: coraggio, chissà? è domani la sentenza?

Entrò nella stanza ov’era apparecchiata la tavola, seguìto dalle donne e dai bambini che la sua presenza intimoriva e divertiva nello stesso tempo.

Egli era piccolo e zoppicava alquanto, perchè aveva un piede più piccolo e una gamba un po’ più corta dell’altra. Perciò lo chiamavano dottor Pededdu (piedino), ed egli non se n’aveva a male, perchè, diceva, val meglio avere un piede più piccolo dell’altro che avere la testa più piccola di quella degli altri.

Il suo visino roseo e tondo con due piccoli baffi biondastri, sorrideva sotto un gran cappello nero a cencio. Egli dicevasi socialista.

Entrato nella stanza si mise a sedere sul letto, a gambe sospese, e attirò accanto a sè, uno per parte, il nipote e la nipotina che lo guardavano a bocca aperta, stringendoli a sè, senza badarvi, dando attenzione al racconto doloroso che gli faceva zia Bachisia. Però di tanto in tanto osservava Grazia, la cui figurina tredicenne alta e angolosa, in formazione, veniva viepiù deformata da un vestitino nero troppo stretto. Gli occhi di lei, chiari e metallici, fissavano ostinatamente, avidamente lo zio.

— Ecco, — diceva zia Bachisia con la sua voce rauca, — il fatto andò così: Costantino Ledda aveva