Pagina:Dopo il divorzio.djvu/203

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— Perchè? — disse con voce sibilante: — non basta che io sia la serva, qui?

— Sì, la serva. Resta dunque la serva. Che vuoi altro, femmina?

Gli occhi obliqui di Giacobbe scintillavano. Giovanna si alzò, e ritta, livida, tragica, vuotò tutto il veleno che aveva nell’anima, ingiuriando il marito e la suocera: li chiamò aguzzini, minacciò di andarsene, di ammazzarsi; maledisse l’ora che era entrata in quella casa, urlò rivelando il debito verso la sorella di Giacobbe.

Allora il servo ricominciò a ridere fra sè e sè, mormorando paroline di comico rimprovero contro la sorella: ad un tratto però tacque, cupo in viso, vedendo la figura nera di zia Bachisia apparir nel vano della porta.

Ella aveva udito sua figlia urlare nel silenzio della notte serena, ed era venuta.

— Ecco, — disse zia Martina, perfettamente calma, — vostra figlia diventa matta, a quanto pare.

Brontu, rientrato in sè, annaspava l’aria e faceva cenni alla suocera perchè si avanzasse e calmasse Giovanna; e zia Bachisia si avanzò; ma ecco Giacobbe saltar in piedi, tutto d’un pezzo, col viso contratto come una maschera d’odio.

— Via di qui! — gridò puntando l’indice verso la porta.

— Sei tu il padrone? — chiese zia Bachisia, non senza ironia.

— Via di qui! — egli ripetè, e siccome zia Bachisia avanzava sempre, le corse addosso.