Pagina:Dopo il divorzio.djvu/206

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vanti la casa dei Dejas, dove il mandorlo disegnava la venatura nera dei suoi rami nudi sul candore vaporoso della nebbia.

Ma d’un colpo lo spiazzo si animò; una torma di monelli infagottati in pelli e stracci, con certe cuffie rosse frangiate, con vecchie scarpe più grosse dei corpicini dei personaggi che le calzavano, si sparse per lo spiazzo; qua e là apparvero gruppi di persone, specialmente di donnine freddolose che starnutivano, tossivano e puzzavano di fumo e di fuliggine.

Apparve il corteo del battesimo.

Precedevano due bambini che sostenevano con grave importanza due ceri intorno ai quali fiammeggiavano dei nastri rossi. Poi veniva una donna che teneva fra le braccia la neonata, coperta da scialli e da un drappo di broccato verdolino simile allo stendardo di San Costantino. E poi il padrino, col suo pastrano e lo scialle bianco e nero dal quale emergeva il visetto roseo, inalterabilmente beato. La madrina, una delle figlie di zia Martina, giovine altissima dal viso lungo lungo, che pareva un’ombra di persona nell’ora del tramonto, doveva curvarsi per parlare col padrino. A fianco veniva Brontu, sbarbato, felice. Dietro seguiva un gruppo di parenti ed amici, che camminavano a passo di marcia, producendo uno scalpitìo da cavalli: ed in ultimo, freddolosa, con un vassoio sotto il braccio e le mani entro le spaccature della gonna, di tanto in tanto tirando fuori la lingua per leccarsi un umor acqueo che le calava dal naso livido, veniva la servetta della madrina.