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XIV.

Era di maggio. La grande vallata dell’Isalle, di solito così severa, coperta di altissime erbe, di macchie fiorite, di campi d'orzo che ondulavano alla brezza come drappi d'oro verdognolo, rideva alla primavera, simile ad un vecchio selvaggio, ubbriaco di sole e di profumi, copertosi per ischerzo di fronde e di ghirlande.

Fischi acuti e liquidi di uccelli canori gorgheggiavano come note di flauto nell’immenso silenzio della valle, quasi fondendosi con la fragranza dei narcisi e delle ginestre. E narcisi e ginestre, i cui grandi cespugli fioriti pareva fossero stati immersi in un bagno d'oro liquefatto, s'abbandonavano sull'orlo dei ciglioni, come intenti a guardare il fondo della valle.

Una fata immensa era passata, stendendo tappeti di fiori violetti, fantasmagorie, fragranze. Certe praterie erbose, picchiettate di ranuncoli, da lontano parevano lembi di lago verde riflettente il cielo stellato. I radi alberi ridevano e bisbigliavano alla brezza.

Era appena tramontato il sole. Il cielo ad occidente aveva il colore della pesca matura, mentre ad oriente ed al nord le montagne posavano come enormi pietre preziose sopra una fascia di raso lilla.