Pagina:Dopo il divorzio.djvu/262

Da Wikisource.

— 256 —


Poi imprecò. Poi rise, di quel riso lieve e vago che si ride quando si è soli.

Intanto beveva a lunghi sorsi; ed ogni volta che finiva il bicchiere scoccava le labbra, esclamava — aaah! — e si passava più volte le mani sul petto, accennando il delizioso calare interno del vino. Dopo si sentì quasi allegro.

— Che essa vada all’inferno. Che essa vada al diavolo.

Così diceva di tanto in tanto, pensando a Mattea ed alla sua capricciosa sparizione; ma intanto s’accorgeva di pensar dispettosamente a lei per non pensare all’altra. Poi, uscito fuori e sdraiatosi sulla panca di pietra, s’abbandonò un po’ ai suoi pensieri.

— Ella è sola, — pensava. — Ebbene, cosa mi importa? Io la disprezzo, e non andrei da lei anche se ella mi desse una cassa piena d’oro. Che ho da farmene dell’oro?

Egli si fece questa domanda con profonda tristezza; ma subito dopo si mise a canticchiare perchè gli avveniva una cosa che del resto gli accadeva spesso: fingeva con sè stesso, come fingeva con gli altri.

«Choricheddu, core amatu,
Chi t’isetto donzi die...
— Cando as a bider a mie,
Sa turulia at a tesser...»1.

  1. «Cuoricino, cuore amato,
    Che ti aspetto ogni giorno...
    — Quando mi vedrai
    il nibbio tesserà...»