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Poi imprecò. Poi rise, di quel riso lieve e vago che si ride quando si è soli.
Intanto beveva a lunghi sorsi; ed ogni volta che finiva il bicchiere scoccava le labbra, esclamava — aaah! — e si passava più volte le mani sul petto, accennando il delizioso calare interno del vino. Dopo si sentì quasi allegro.
— Che essa vada all’inferno. Che essa vada al diavolo.
Così diceva di tanto in tanto, pensando a Mattea ed alla sua capricciosa sparizione; ma intanto s’accorgeva di pensar dispettosamente a lei per non pensare all’altra. Poi, uscito fuori e sdraiatosi sulla panca di pietra, s’abbandonò un po’ ai suoi pensieri.
— Ella è sola, — pensava. — Ebbene, cosa mi importa? Io la disprezzo, e non andrei da lei anche se ella mi desse una cassa piena d’oro. Che ho da farmene dell’oro?
Egli si fece questa domanda con profonda tristezza; ma subito dopo si mise a canticchiare perchè gli avveniva una cosa che del resto gli accadeva spesso: fingeva con sè stesso, come fingeva con gli altri.
«Choricheddu, core amatu, |
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«Cuoricino, cuore amato,
Che ti aspetto ogni giorno...
— Quando mi vedrai
il nibbio tesserà...»