Pagina:Dopo il divorzio.djvu/34

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tavano guardando il sole, e zio Efes Maria, montato sul suo cavallo baio, disponevasi a partire per la campagna. Che luce e che festa in quel cortile, cinto soltanto da un piccolo muro di pietre, e dal quale godevasi un vasto orizzonte! I bambini mangiavano la loro zuppa di caffè-latte seduti sul limitare della porta di cucina; Grazia era andata a mangiar la sua in un cantuccio, forse per non essere veduta dallo zio studente in quella prosaica operazione, mentre egli, in maniche di camicia, in piedi in mezzo al cortile, divorava il suo grande scodellone di zuppa.

E zia Porredda gli lustrava le scarpe, tutta meravigliata per i racconti che andava narrandole il figliuolo.

— Come è grande San Pietro? (Bisogna spiegare che Paolo era stato solo quell’anno a Roma). Ebbene, è grande quanto una tanca. Non si può neppure pregare. Come si può pregare in una tanca? Gli angeli sono grandi come quella porta, gli angeli più piccini, sapete, quelli che sostengono la pila dell’acqua santa.

— Ah, allora bisogna metter la scala, per prender l’acqua.

— No, perchè essi sono inginocchiati, mi pare. Datemi un altro po’ di caffè-latte, mamma. Ce n’è?

— Sicuro che ce n’è. Sei tornato ben affamato, piccolo Paolo mio: sembri un pesce-cane.

— Sapete quanto costa una zuppa così a Roma? Una lira, non meno. E il latte è acqua.

— Che sieno benedetti! È spaventevole ciò!

— Ah, sapete! Ho visto i delfini, in mare. Oh,