Pagina:Dopo il divorzio.djvu/36

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— Sarà un buon avvocato; rosicchierà i clienti fino all’osso: anzi li divorerà vivi e buoni.

Detto ciò tacquero entrambe. Ad un tratto zia Bachisia inciampò in un sassolino, e mentre inciampava, non si sa perchè, pensò che se Giovanna dovesse un giorno far divorzio, ella avrebbe pregato Paolo ad esser avvocato di sua figlia.

Erano le otto quando giunsero davanti la cattedrale, al cui fianco le piccole finestre del Tribunale riflettevano nei vetri la luminosità del mattino.

Nella piccola piazza di granito le due donne ritrovarono molti compaesani, testimoni del processo, alcuni dei quali le circondarono ripetendo la solita parola:

— Coraggio! coraggio!

— Ah, coraggio! Ma noi ne abbiamo, ma lasciateci in pace! — disse zia Bachisia, passando fiera come una cavalla indomita. Ella sapeva ben la strada e andò diritta all’aula triste e fatale.

Giovanna la seguì, seguirono i compaesani, uomini quasi tutti barbuti ed in rozzi costumi, ed entrò anche qualche curioso sfaccendato, ed anche una donna lunga e sdentata con gli occhi loschi.

I giurati, quasi tutti vecchi e grassi, sedevano già ai loro banchi; uno aveva un enorme naso aquilino, due con barbe folte e occhi selvaggi sembravano banditi, tre, aggruppati, con le teste vicine, ridevano leggendo un giornale.

Apparve il presidente, dal viso roseo circondato d’una scarsa barba bianca; il pubblico ministero, giovine, con baffi biondi diritti in un viso sanguigno di prepotente; il cancelliere, l’usciere: nelle toghe