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— Accidenti a voialtri e ai capitoni — urlò con voce aspra il caporale Tafuri, cacciando la testa sotto le coperte — maledetto Natale e i coscritti; tutti a un modo queste marmotte....

Angelo Carini intanto si voltava e rivoltava sul letto senza poter chiudere occhio; il ricordo della famiglia si faceva man mano più vivo, la figura di Elvira si delineava chiara, spiccata e tanto dolce nella sua mente: ne ascoltava la voce, quella sua voce soave, carezzevole; ricordava tutto le parole d’amore scambiatesi, una per una, da quando si erano conosciuti fino alla partenza di lui per il distretto. Chissà se mi ama sempre! — pensava; si ricorderà di me, mi aspetterà sino alla fine, mi sarà fedele? Ah, voglio vedere ancora le sue lettere, voglio leggerle ancora, voglio baciarle, voglio tenerle qui, sul cuore; le ha scritte lei.

E si era alzato di scatto sul letto, aveva preso lo zaino, rovistato un poco e poi: eccole... eccole!... — aveva esclamato col viso raggiante, ecco i capelli della mia Elvira, ecco la sua fotografia.... oh, Elvira.... Elvira mia!...

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Intanto, intorno al tavolo dei gastronomi, si discuteva ancora vivacemente di cene e di desinari natalizi; e un trombettiere mezzo brillo giurava o spergiurava sull’anima di tutti gli dei, che in tutte le tavole da galantuomini, nella gran cena di Natale, prima si serve il fritto, e poscia il capitone.

Francesco Perri.





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