Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/114

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— Crede, dottore, che....? — azzardò ella porgendogli l'asciugamano.

— Madre reverenda mia! — rispose il dottore gaiamente, stropicciandosi le braccia fin sopra al gomito. — Questa qui ha la pelle dura! La bambina, piuttosto! Se riusciamo a salvarle tutte e due, possiamo dire d'aver fatto miracoli.

E tosto riprese col collega una discussione irta di termini scientifici e di parole latine.

Nanna rinveniva. L'emorragia era stagnata. La sua preziosa esistenza era salva.

La bimba invece non si risolveva a vivere nè a morire.

Naturalmente, non appena venuta alla luce, ella era stata tolta alla madre e portata al capo opposto dell'ospitale, nel riparto «Lattanti». La Superiora stessa l'aveva tenuta a battesimo, e le aveva imposto, non a caso, il nome di «Innocenza».

Una nutrice aveva tentato subito di attaccarsela al petto, ma inutilmente. Due giorni erano passati, e ancora la piccina non voleva attaccare.

Suore e infermiere si fermavano intorno al suo lettino e dicevano:

— Povera bimba!... Forse attaccherebbe al seno della madre, ma la madre non vuol vederla: la vuol strangolare. Se non si attacca neppur stanotte, morirà di fame.

La Superiora insisteva:

— Provate, Marianna.

E la nutrice provava, ma inutilmente. La piccina rifiutava il suo latte.