Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/171

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Con un pezzo di specchio rotto ella si guardò di profilo.

Perchè non poteva essere vero?...

Era pallidissima, di un pallore verdastro e triste, magra come se un fuoco interno la divorasse, cogli occhi cerchiati, le labbra bianche. Ella sciolse i capelli, i meravigliosi capelli, flosci, molli, smorti, malati, che la coprirono come un manto.

— Perchè non potrebbe esser vero?... Fernando Altoviti!... — mormorò ella come in sogno.

E con un cencio di stoffa rossa si strofinò le guancie e le labbra, con un piccolo carbone calcò la linea delle sopraeiglia.

Così fu che una sera il postino, anzichè una, portò due lettere a lnnocenza. L'una aveva il solito formato, la solita calligrafia, la solita firma: «Fernando Altoviti»; l'altra era più grande, di color rosa acceso, colla busta adorna di una colomba recante nel becco un ramoscello di «non ti scordar di me».

La lettera rosa diceva:

«Signorina!

«Nutro per Lei da lungo tempo un vero amore, un'indomabile passione, ispiratami dal suo gentil sembiante e dalle sue rare doti di educazione. Sì, signorina, Io l'amo, e spero di poter renderla felice. Da tanto tempo