Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/179

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miagolando alla ragazza. E al tempo stesso due gridi laceravano l'aria.

— Innocenza! Innocenza!

Si sentì il tonfo di un corpo pesante sul pavimento, un passo irregolare, traballante e precipitoso, qualche cosa che inciampava, rotolava, e precipitava nel buio giù per le scale.

Innocenza tirò violentemente il catenaccio, si gettò nel giardino, l'attraversò di corsa senza voltarsi, squassò disperatamente il cancelletto, uscì, fu sulla riva viscida dell'argine al di là del quale scorreva il fiume.

Era una notte nera, ed ella non riesciva a discernere il viottolo che conduceva alla strada; cominciò a salire carponi su per l'erta, ma le alte erbe umide cui si aggrappava le tagliavano le mani e si rompevano, ed ella sdrucciolava, cadeva, e si rialzava con disperata febbre, e già dietro a sè sentiva un ansimare paurose, già due mani l'afferravano alle vesti, ai capelli, ed un corpo si aggrappava al suo corpo, ed una bocca convulsa sfiorava il suo orecchio dicendole con una voce che non aveva più nulla d'umano:

— Dove vai? dove vai?

Senza una parola Innocenza si svincolò, ritrasse violentemente il volto, riguadagnò distanza, riprese ad arrampicarsi su per la costa senza voltarsi.

Ma la madre non la lasciava; le sue mani l'avevano ora attenagliata alle cosce, e tutto un corpo poderoso e disperato si trascinava su per la riva viscida, fatto tutt'uno col corpo della