Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/210

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Il dolore di Elena reclamava la solitudine. La mamma voleva piangere senza essere consolata. Anche gli occhi di Carlo, quegli occhi che ora pareva l'interrogassero, ora la supplicassero, erano di troppo fra lei e il suo bambino morto.

Poco dopo la partenza di lui, ella si chiuse nella sua stanza, e, immersa nella disperata contemplazione di una piccola imagine sorridente, le parlò, le parlò, fra i singhiozzi, per lunghe ore, senza paura finalmente che nessuno la sentisse; le ripetè all'infinito le parole di dolcezza note solo alle mamme e ai bambini, quella musica eterna che si bisbiglia tra i baci, tra i riccioli d'una indocile testina....

Ed infine il suo dolore parve placarsi, distendersi, in un'amara ma tranquilla attesa, quietarsi in una speranza:

— Cici, piccolo mio, amore della tua mamma.... ti porteranno quassù coi nonni, cogli zii: non sarai più così solo! Non sarai più così solo, anima mia!... — E a un tratto, fulmineamente, le balenò al pensiero l'imagine di Carlo, di lui che era solo, davvero solo, in quel momento, in viaggio verso una meta triste, ed era partito senza il conforto d'una parola affettuosa.

Solo, veramente solo: poichè il cuore di lei non l'aveva seguito, e soltanto ora, così tardi, si ricordava.

Quanto tempo era passato?... Era egli già a Roma?... Era già rientrato nella casa?...

....Arrivare nell'appartamento deserto.... rivedere