Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/225

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fissandola per un momento nei begli occhi cangianti.

— No, per questa sera le perdono! Sono in vena d'indulgenza!... È per noi subito, non è vero? — chiese ella sentendo le prime note lente di un valzer. E, lasciato il braccio di don Giannetto Maina, posò leggermente la manina su quello di don Vittore Ruffo.

Ballavano ed erano belli. Che splendida coppia! Tutti li ammiravano e ripetevano la facile profezia. Ma non era possibile parlare in quell'arruffio di gente, nè conveniva appartarsi. Don Vittore prese un mazzo di violette dalla cesta che una dama sorridendo gli tendeva.

— Grazie per i miei poveri! — disse la Signora; ed il giovane le porse una moneta d'oro e passò le viole a Valeria guardandola lungamente.

— Può concedermi il cotillon? — le chiese egli, sentendo un indefinito disagio dal prolungarsi di quella situazione, e volendo ad ogni costo uscirne la sera stessa.

— Volentieri!... — rispose Valeria, e in quel momento i suoi occhi furono chiamati improvvisamente e violentemente da altri occhi che da lontano la fissavano e, non appena incontratisi coi suoi, la sfuggirono. Ella impallidì. — Dov' è Gualtiero? — chiese, cercando suo cugino, come sempre quando voleva liberarsi di qualche importuno, quando voleva un cavaliere con cui non fosse necessario sorridere, nè chiacchierare, nè esser gentile.