Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/268

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fianco, ella cinguettava come un uccellino. E i suoi discorsi erano spesso comicamente desolati.

— Elmìr! — diceva. — Sei mesi sono passati, abbiamo girato cento corti, e nulla ancora, nulla!... Che dirà la Fata?... Uomo bello, intelligente, valoroso, dove sei?... Dove battere la testa per trovarti?...

Elmìr la incoraggiava ad aver pazienza. Ma anch'egli cominciava ad essere stanco, e sopratutto sfiduciato, di quel pellegrinaggio. Fedele alle promesse, la fanciulla non abbandonava un istante la sua lente gemmata, e attraverso ad essa guardava la vita con così fredda chiaroveggenza, con intuizione così profonda, con così fine ed acuto spirito critico, che nessun uomo arrivava ad incarnare per lei l'ideale sognato. Oltre a ciò, ritenuta dovunque un giovanetto, ed ammessa senza diffidenza nell'intimità dei principi che si recava a visitare, ella aveva avuto occasione di conoscere certi retroscena, di valutare certi sentimenti, che non avrebbe mai sospettato. Spalancando i begli occhi ingenui, Biancofiore interrogava:

— È così, Elmir, è così, che gli uomini considerano la donna? È così che ne parlano?... questo, il loro linguaggio quando sono fra loro? Questo, il culto che le dedicano?... Questi, i loro costumi? Questi, i loro passatempi?... Ah, io non potrò mai più, mai più credere all'amore!...

Ed Elmìr si mordeva le labbra per aver consigliato l'audace esperimento. È vero che la purezza