Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/80

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le ultime cucchiaiate di un'immensa tazza di caffè e latte e faceva con occhi desolati l'inventario della sua prigione. L'inventario era presto fatto: c'era il gatto e un merlo in gabbia: la stufa di maiolica e una cassapanca. Il gatto, fulvo, grasso, freddoloso, sempre addormentato, pareva un filosofo; il merlo, irrequieto, rabbioso, continuamente in lite coi ferri della sua gabbia: un critico.

— «Le chat s'abbelle Wagner, le merle, Beethoven», — aveva detto la nonna. Ma questo non rappresentava per Nennè nulla d'interessante.

Qualche altra cosa c'era, nella penombra, che l'attirava come una calamita.... verso cui i suoi occhi andavano e venivano senza posa...: la scala.... facile, tentatrice, semioscura.... e conduceva alla piazza.

Perchè no?...

Cominciava davvero per Nennè la vita di tutti i giorni.

Monello avvezzo alla strada, alla libertà, avvezzo a vivere sulla banchina, al molo, fra marinai, facchini, ragazzi, gente libera e spensierata, che va viene arriva riparte in una città di mare come Messina, piena di risa e di canzoni, egli non poteva resistere nella chiusa afa d'una prigione senza sole.

Un passo alla volta, un gradino alla volta, guardandosi indietro, arrivò in fondo alla scala, schiuse il portoncino, fu sul piazzale. Così ogni giorno. Come certi gatti randagi che non si ricordano della casa se non quando hanno