Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/88

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Nennè pure si arrestò: pallido, colle labbra bianche, come se tutto il sangue gli fosse dalle vene affluito al cuore.

Italiani!... Erano italiani!

Infine egli si mosse e salì due gradini. Sul pianerottolo, i due piccoli compatrioti si trovarono di fronte. L' uno coi ricci arruffati, i grandi occhi di passione, e l' ardente pallore della sua Sicilia, l'altro biondo, corretto, cogli occhi grigi e serî, un profilo acuto, e in tutta l' elegante figurina la gracile delicatezza dei bimbi troppo amati.

Entrambi si guardarono con molta timidezza. Nennè si sentiva sporco e mal vestito, l'altro non sapeva che cosa dirgli.

— Ci accompagni? — chiese la signora a Nennè, troncando così la pausa e l'imbarazzo.

— Sì, signora, — rispose egli, pallido, a occhi bassi; e li precedette lentamente su per la scala.

— Ci sapresti dire qualche cosa? — chiese ancora la signora entrando nelle stanzette delle raccolte. — Non abbiamo catalogo, — aggiunse ella, e gli sorrise.

— Sì, signora, — rispose ancora il ragazzetto, come in sogno.

Allora la nonna, che dal letto tendeva l'orecchio al suono dei passi, inquieta sulla pazienza di Nennè dopo una così faticosa giornata, fu l'invisibile testimone di un miracolo.

La vocetta timida incominciava a parlare.... tremula sul principio; esitante; poi più sicura,