Pagina:Dumas - Il tulipano nero, 1851.djvu/280

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— Seguitemi.

— Oh! oh! disse Cornelio il di cui cuore si risollevava, oppresso dalle prime angoscie della morte, come ci si spiccia alla fortezza di Loevestein! E il mariolo che mi aveva parlato di dodici ore!

— Ohè! la va come ve l’ho contata? fece il novelliere all’orecchio del paziente.

— Una bugia.

— Come?

— Mi avete promesso dodici ore.

— Ah! sì. Ma vi si manda un aiutante di campo di Sua Altezza, e anche uno de’ suoi più intimi, il signor Van Deken. Canchero! Non si fece un simile onore al povero Mattias.

— Andiamo, andiamo, disse Cornelio gonfiando i suoi polmoni con la più gran quantità d’aria possibile; andiamo e mostriamo loro che un popolano, battezzato di Cornelio de Vitt, può, senza fare smorfie, contenere altrettante palle di moschetto, quante quel Mattias di buona memoria.

E passò fieramente dinanzi all’attuario, che interrotto nelle sue funzioni si azzardò di dire all’officiale.

— Ma, capitano Van Deken, il processo verbale non è ancora terminato.

— Non vale neppure la pena di finirlo, rispose l’officiale.

— Buono, replicò il processante chiudendo filosoficamente le sue carte e la sua penna in un portafoglio usato e tutt’unto.

— È stato scritto, pensò il povero Cornelio, che io in questo mondo non abbia da dare il mio nome