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valersene tra noi e di constituire fra’ suoi apostoli il tesoriere. Potrei qui facilmente diffondermi, tessendo lunghi encomi a questa saggia e comodissima invenzione e numerando a lungo gli emolumenti, che ne ha tratto l’umano genere, cosi nelle scienze e nell’arti, l’augumento delle quali tutto pende dalla comunicazione de’ popoli anche lontani, come nelle comoditá stesse, che meno disastrosa la vita ci rendono, che dal commercio di tutta ormai la terra insieme hanno l’origine. Ma non voglio entrare in questo pelago, mentre, per render informato chicchessia dell’utilitá di questa invenzione, basta far si ch’egli si figuri nella sua mente di vederne privo di nuovo il mondo, e consideri gl’incomodi che ne nascerebbono, se dovessimo ciascuno di noi andar cercando a chi avanzasse ciò che a noi manca, e per mezzo di puro baratto aggiustare il contratto con altre cose nostre, di cui quegli abbisognassero.
Qual metallo fosse la prima volta coniato, non è pur facile a determinare. L’erudito Davanzali diede veramente il primato al rame, mentre dice in una sua Lezione sopra le monete queste parole: «Fu adoperato il rame dall’antichitá e da tutte le genti fu assonto a cosi alto uffizio per legge accordata»; onde vuole che fossero di rame le piú antiche monete, e che poscia incominciasse a spendersi l’oro e l’argento in pezzi rotti, che necessariamente furono dipoi pesati, indi segnati ed in moneta battuti. Ed io so bene che cosi fu in Roma, ove consta chiaro che prima d’ogn’altro metallo fu battuto il rame da Servio Tulio, improntandosi una pecora, e che molto dipoi fu coniato l’argento, ed in fine anche l’oro; onde, se prima de’ romani non si fosse veduta moneta, sarei con questo autore. Ma égli medesimo aveva pur veduto nel sacro Genesi (’) che Abramo, il quale «erat dives valde in possessione auri et argenti», comprò da Effrone il campo per sepellire la moglie, pagandone per prezzo «qiiadrigentos siclos argenti probafae monetae publicac», dice la Volgata, o pure «currentis inter mercatores», secondo
(i) Genesi, 13.