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Pagina:Elogio della pazzia.djvu/25

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12 elogio

cosa il lodar sè medesimo. Sia pure follia quauto si voglia, dovranno tuttavia convenire costoro che è cosa molto decorosa l’aver cura del proprio buon nome.

Di fatto, qual cosa è più conveniente alla Pazzia che esser la tromba del suo merito e di far echeggiare dappertutto le proprie sue lodi? Chi può dipingermi più al naturale di me stessa? Vi è forse altri che meglio mi conosca di quello che faccia io medesima? Per altro questa mia condotta sembrami assai più modesta di quella che tener suole la maggior parte de’ grandi e dei saggi del mondo. Costoro, messosi sotto ai piedi ogni pudore, subornano un qualche panegirista adulatore o un cicalone poetastro, onde a prezzo d’oro reciti le loro lodi, che altro infine non sono che un tessuto di menzogne. Intanto poi che il modestissimo uomo stassene ad ascoltarlo, dispiega le piume come il pavone, innalza la sua cresta, si ringalluzza alla voce della sfacciata adulazione, che paragona agli Dei quell’omiciattolo da nulla, che il propone come un assoluto modello di tutte le virtù, benchè sappia esserne totalmente lontano, che adorna di piume non sue quella vil cornacchia, che si sforza d’imbiancare la pelle dell’Etiope, che, per finirla, fa di una mosca un elefante. Alla fin fine segue poi quel volgar proverbio che dice: Non hai chi ti loda? Fai bene a lodarti da te stesso.

Benchè a questo tratto non posso contenermi dal concepire grande sdegno, non saprei se della ingratitudine, o della infingardaggine de’ mortali. Nutrono, è vero, per me grandissima venerazione, e godono volentieri le mie beneficenze, tuttavia (chi il crederebbe!) da che mondo è mondo non v’è stato un sol uomo, che per riconoscenza abbia con qualche panegirico tessuto l’encomio della Pazzia.