Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/103

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«Anche noi, Padre Santissimo, sapremo soffrire. Noi abbiamo inteso il grido dell’angoscia e della consolazione: «I governi mi abbandonano, ma il popolo, plebs christiana, il vero popolo cristiano mi resta fedele.» Noi apparteniamo a questo popolo cristiano e dovessimo versare il nostro sangue con le nostre preghiere, vogliamo che i Governi ritornino al loro vero capo, il Cristo; vogliamo che il nostro paese ritrovi il grido del suo primo re: «Ah! s’io fossi stato là con i miei Franchi!» È questo il grido segreto della nostra missione e il segreto della nostra salute. Se la Francia fosse stata là, Roma non sarebbe mai stata violata. Se la Francia fosse stata là, Roma non avrebbe che un Re e non avremmo a visitare il nostro Padre prigioniero. Se la Francia avesse voluto esser là, sarebbe ancora la Francia, e Pio IX troverebbe un appoggio fedele per rovesciare il grande nemico del Cristo nei tempi moderni, la rivoluzione, come il suo glorioso patrono ha trovato un cuore valoroso ed una spada valorosa per vincere il grande nemico dei tempi antichi, il maomettanismo.

«Noi non abbiamo che uno scopo, che un’ambizione nei nostri pellegrinaggi: rendere alla patria nostra la sua missione, alla chiesa la sua figlia primogenita, al Papa il suo difensore».

Naturalmente i romani liberali, quelli che avevano l’anno prima coperto di 10,000 firme un indirizzo per l’espulsione dei gesuiti, non potevano stare zitti dinanzi a tutte queste provocazioni, e il 10 maggio presentarono ai deputati di Roma una nuova petizione, e indissero un comizio al Corea, che il Lanza impedi si adunasse, perché era ancora invalso l’uso che non si facesse pressioni sulla Camera discutendo in pubblico argomenti di cui essa si occupava.

L’indirizzo diceva:


«Onorevoli Deputati dei collegi di Roma,

«La legge che sta discutendo il nostro Parlamento tiene desta tutta la nostra popolazione perchè se essa ha un interesse generale come corollario della legge sulle Guarentigie, é in pari tempo legge speciale per Roma, sia perché qui hanno sede e centro tutte le Corporazioni religiose, sia perchè la legge sugli enti ecclesiastici, promulgata in tutto il Regno, non venne estesa alla Provincia Romana.

«Voi, o signori, che foste eletti da noi con tanta unanimità di suffragi, conoscete bene quali sono i nostri sentimenti intorno a così grande questione, e sapete essere nostro desiderio che niuna eccezione sia fatta al nostro diritto pubblico, affinchè nelle massime, che ora si adottano dal Parlamento, non si trovi un addentellato alla futura ricostituzione degli istituti, che ora verrebbero disciolti. Non ignorate pure con quale e quanta insistenza domandammo fino dai primi tempi della nostra liberazione che venisse disciolto quell’odioso sodalizio politico, che a mascherare meglio le perfide arti e il più perfido fine, assunse il nome augusto del Redentore.

«Una petizione firmata da ben diecimila cittadini, depositata presso la Presidenza della Camera, richiede, che la legge del 1848 contro i gesuiti, sia estesa a questa nostra Provincia, e ora noi vi facciamo fervida istanza perché ove nella legge che discutete non si trovasse la intera applicazione dei nostri principi, almeno non venga dimenticato il nostro voto, e si aggiunga alla legge una disposizione per cui siano espulsi i gesuiti da Roma, come lo furono dalle altre città d’Italia, ove possedevano case od istituti.

«Roma, 10 maggio 1873».


La proibizione del meeting ebbe uno strascico penoso. La commissione promotrice non volle assoggettarsi al divieto, e molti fra i più ardenti seguaci della Capitale, si radunarono nel cortile del Corea, che era occupato dalle guardie in gran numero. Allora fu pensato di fare una dimostrazione al Quirinale per chiedere le dimissioni del ministero Lanza e l’estensione pura e semplice