Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/113

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anni, la storia non ha detto su di lui la sua ultima parola, ma certo non è rimasto in essa come una di quelle figure dinanzi alle quali tutti s’inchinano riverenti.

In mezzo ai ricevimenti principeschi, alle esequie di uomini illustri, giunse a Roma quasi inosservato un personaggio che col tempo doveva legare il suo nome con quello della storia del nostro paese. Alludo al signor di Keudell, ministro di Germania, amico del principe di Bismarck, partecipe delle sue idee e scelto a bella posta da lui per tradurre in alleanza l’amicizia che univa i due popoli e le due dinastie. Il signor di Keudell è stato lungamente a Roma e tutti hanno conosciuto quell’uomo dalle apparenze semplici e modeste, dai modi cortesi, che alternava le cure del suo grave ufficio con i passatempi geniali. La musica era il suo diletto preferito e ne dette subito prova giungendo a Roma con l’assistere al concerto della Filarmonica.

Il nuovo ministro di Germania era amico dell’on. Marco Minghetti, che salì al Governo poco dopo l’arrivo del signor Keudell ed essi, coadiuvati dal ministro d’Austria-Ungheria, prepararono il viaggio a Vienna e a Berlino del Re, che fu il più notevole avvenimento della seconda metà del 1873.

Cessate a Roma le lotte politiche dopo la chiusura della Camera e la costituzione del nuovo ministero, incominciarono quelle municipali per le elezioni amministrative. I clericali a quelle elezioni non parteciparono e nella nuova amministrazione, tolto il divieto di eleggere i non romani per parte dei diversi circoli, entrarono quattro forestieri, cioè Cairoli, Correnti, Astengo e Finali.

La lotta era stata molto viva, le divisioni si erano operate fra i vari gruppi del partito liberale; si vedeva che non trovandosi di fronte i clericali, gli altri lasciavansi vincere da una inerzia. Dopo queste elezioni, e mentre il Governo aveva già nominato la Giunta liquidatrice dell’Asse Ecclesiastico e si preparava ad applicare la legge di soppressione delle corporazioni religiose, dal Vaticano partì il fulmine della scomunica. La pronunziò Pio IX in occasione del Concistoro del 26 luglio. Eccone un brano:

«Crediamo astenerci, venerabili fratelli, dal ripetere quello che a distogliere dall’iniquo attentato i reggitori della cosa pubblica, tante volte abbiamo diffusamente esposto intorno all’empietà, alla malizia, al fine e ai danni gravissimi di una tal legge; se non che dal dovere di rivendicare alla Chiesa i suoi diritti, dalla brama di prevenire gl’incauti e dalla carità verso gli stessi colpevoli siamo costretti a dichiarare altamente a tutti coloro che la predetta iniquissima legge non temettero di proporre, di approvare, di sancire, ed insieme ai mandanti, ai fautori, ai consultori, agli aderenti, agli esecutori ed ai compratori di beni ecclesiastici, non solo essere irrito, casso e nullo quanto in ciò possono aver fatto o sieno per fare, ma venir essi, senza eccezione, compresi nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costuzioni Apostoliche e dai Concilii generali, massime dal Tridentino, andare incontro alla più rigorosa severità delle divine vendette e trovarsi in pericolo manifesto di eterna dannazione».

La Giunta liquidatrice dell’Asse Ecclesiastico aveva posto sede in un palazzo in piazza Rondanini e subito fece rimettere ai superiori di diversi conventi i moduli per le denunzie dei beni, che furono accettati quasi da tutti senza incidenti. L’ordine superiore peraltro era che protestassero nel rimettere quei moduli.

Per tutta l’estate Roma godè di una certa calma; non dimostrazioni ostili, nulla che turbasse la vita pacifica dei pochi rimasti. Il conte Pianciani era stato eletto sindaco, don Emanuele Ruspoli era generale della Guardia Nazionale, il consiglio municipale si adunava ogni tanto, il corpo diplomatico stava in villeggiatura, la Corte era assente, i ministri andavano e venivano.