Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/121

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prova, del loro affetto illimitato, e i loro voti per la vostra felicità, ed augurano a sè e all’Italia di potere, dopo altri 25 anni, rinnovare le stesse espressioni, i medesimi voti».


A questo indirizzo il Re rispondeva:

«In un giorno di gioia niente mi è più gradito che di trovarmi con i rappresentanti dell’esercito e della marina, in mezzo ai quali crebbi nella mia giovinezza e con i quali ebbi sempre comuni le speranze e i pericoli; con l’esercito e con la marina, che contribuirono si potentemente al risorgimento della patria, e diedero in ogni occasione splendide prove di virtù e di abnegazione, sta il mio pensiero e il mio affetto. La prosperità e la gloria di entrambi mi sono sommamente a cuore. Chè, se mai tornassero tempi gravi e difficili, son certo che a loro sarebbero sicuramente affidate le sorti della patria».

Dopo aver pronunziate queste parole, il Re baciò affettuosamente il Principe Reale che era fra i comandanti di corpo, e strinse la mano ai suoi compagni d’armi. Fu un momento solenne, che i vecchi generali ricordano con le lacrime agli occhi.

L’indirizzo presentato dal Presidente del Senato diceva:

«Sire!

«Sono oggi compiuti 25 anni da che Voi cingeste l’avita corona dei Re Sabaudi. Raccolta in un giorno di sventura sopra un campo di battaglia, Voi, non solo le rendeste lo splendore antico, ma la faceste degna dell’Italia risorta. La Croce di Savoia, insegna gloriosa della Vostra Casa, divenuta sinibolo sacro dell’Unità d’Italia, sventola sulle torri delle nostre cento città, ed ha preso il luogo di tutte le insegne delle signorie cadute con la dominazione straniera.

«Quale storia memoranda avranno questi 25 anni del Vostro Regno! La libertà mantenuta anche quando pareva meritorio proscriverla; la guerra d’indipendenza due volte ripresa e due volte condotta a buon fine; devanzato, nonchè seguito l’impeto dei popoli anelanti di cancellare le divisioni antiche; l’unità della patria, che sembrava sogno di anime generose, felicemente compiuta; data persona e parola nel concerto delle nazioni a quest’Italia ieri conculcata e derisa; composto, per quanto era in noi, il funesto dissidio tra l’Italia e la Chiesa, senza rinnegare la fede dei nostri maggiori; sono questi gli avvenimenti stupendi, che riempiono questo quarto di secolo.

«Noi, testimoni fortunati di così splendida successione di eventi, rendendo omaggio alla M. V. in questo luogo e in questo giorno, quasi non crediamo a noi stessi; e ringraziamo la Provvidenza di esser vissuti fino a veder soddisfatto così felicemente, ed in così breve tempo, il voto di tante generazioni.

«Felice il Re che può unire il suo nome al risorgimento del suo popolo; felice il popolo che trovo nel suo Re il propugnatore coraggioso dei suoi diritti! Questa ventura toccò a Voi, o Sire, e non per cieco capriccio di sorte, ma come premio meritato di valore, di patriottismo e di lealtà.

«Tutta Italia saluta con giubilo questo giorno bene augurato. I popoli vi acclamano, perchè riconoscono in Voi l’espressione più alta e più risoluta del sentimento nazionale. Dinanzi a Voi non sono antagonismi di parte, rivalità di dottrine; c’è l’Italia, c’è la Nazione, che in Voi si sente rassicurata e difesa.

«Sire!

«Il Senato del Regno non poteva rimanere muto in mezzo a tanta pubblica esultanza. Con l’omaggio delle sue felicitazioni esso vi saluta liberatore d’Italia e vi prega da Dio, che ha in mano i destini dei Popoli e dei Re, giorni prosperi e tranquilli nella pace di un regno lungo e glorioso».


Il Re rispose:

«Accetto con grato animo gli augurii del Senato del Regno.

«Rivolgendo indietro lo sguardo al lungo periodo che abbiamo insieme percorso, sento che possiamo, con patrio orgoglio, rallegrarci dei risultati ottenuti.