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lazione operaia, perché non era quella che veramente soffriva del prezzo elevato dei viveri, ma piuttosto la classe media. L’operaio allora lavorava ed era ben retribuito, perchè i lavori non mancavano; l’impiegato invece era pagato lo stesso di prima e si trovava a dover spendere il doppio per la pigione e per il nutrimento, e sotto la falsa apparenza di una agiatezza che non esisteva, quella classe si dibatteva nella miseria.
Questi erano allora i veri miserabili di Roma, e la tanto sospirata legge sull’aumento degli stipendi, già presentata alla Camera, non si discuteva.
Il lavoro della Camera fu quasi tutto negativo in quel primo periodo della sessione. Dopo tre votazioni per appello nominale fu rigettata a scrutinio segreto la legge sulla nullità degli atti non registrati; la legge sulla difesa dello Stato fu sospesa al Senato dietro desiderio del Governo in seguito a una proposta del Cialdini, benchè il Menabrea ne avesse dichiarata l’urgenza; per le leggi rispetto alla riforma della marina proposte dal ministro si fece quasi lo stesso. La Camera mancava d’indirizzo, il Governo pareva non sapesse ciò che voleva, e mentre in quel periodo legislativo si udirono i più bei discorsi, si fece pochissimo di concludente. Il ministero Minghetti dopo il rifiuto della legge sulla nullità degli atti non registrati, che fu respinta con 166 voti contro 163, dovette dare le dimissioni, che non furono accettate dal Re. Il Presidente del Consiglio fece capire, nell’annunziarlo alla Camera, che questa sarebbe stata sciolta, e la Sinistra che prevedeva la caduta della Destra dal potere, per la scissura fra i suoi capi, si diede a preparare le elezioni pubblicando prima di tutto un manifesto di battaglia firmato da Cairoli, Nicotera, Crispi, Bertani, Mancini, Sesmit-Doda, Sermoneta, Fabrizi, Avezzana, Oliva, Razzolo, Tamajo, Cucchi, Miceli, Musolino e Asproni.
Se vi era crise latente nel Gabinetto, vi era pure nel Consiglio comunale. Il sindaco Pianciani era in urto con gli assessori e con la Giunta e dietro proposta del Ramelli, coadiuvato dall’Alatri, vedendo votare sempre nuovi lavori, senza che vi fossero i fondi necessari, chiesero che fosse redatto un prospetto di tutti i lavori in corso, delle somme già decretate per essi, di quelle spese e di quelle che rimanevano da spendere. Era un mezzo per orientarsi in mezzo a quella Babele. Il prospetto fu presentato e si vide che fra lavori già stabiliti e lavori su cui si era preso impegno, vi era uno scoperto di 25 milioni, senza contare i molti cui ascendevano quelli per il Tevere. Il Municipio aveva già contratto un prestito con la Banca Nazionale di 30 milioni, ed erano in corso trattative per un altro di 100 e forse più milioni con una casa tedesca. Con questo secondo prestito si voleva estinguere il primo e spingere i lavori. L’Alatri, che era un saggio amministratore, combattè questa idea e su proposta dell’Angelini il Consiglio chiese la presentazione del bilancio. Il Pianciani lo fece redigere in fretta e in furia, stralciando a caso le spese. Proponeva di prorogare il termine dei lavori di via Nazionale, di togliere 300,000 lire alle spese per l’istruzione, di radiare quelle per la Guardia Nazionale, come ne dava facoltà ai Comuni la legge sui centesimi addizionali sui fabbricati. Il Sindaco si dimette, si dimette la Giunta per un voto sfavorevole del Consiglio, e si fanno le elezioni parziali.
La lotta non fu aspra e trionfò la lista moderata del Comitato Elettorale di Roma col Sella, portato anche dal Popolo Romano, ma i fidi dell’ex-sindaco non riescirono. L’elezione del Sella significava che i Romani si erano accorti che fra loro mancavano gli amministratori della cosa pubblica, e ricorrevano a un uomo di capacità incontestata. Il Venturi prese a far le veci di sindaco, molto seriamente. In quelle elezioni riusci pure il principe don Filippo Orsini, che dette anche un banchetto agli elettori nel cortile del suo palazzo, tutto ornato di bandiere. Di qui ire dei