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Il re Umberto non permise che nessun artista ne facesse la maschera; il solo pittore Scipione Vannutelli fu ammesso nella camera mortuaria per ritrarre da morto l’effigie di Vittorio Emanuele. Il pittore non avendo seco i colori ne la tavolozza, si servì di quelli della regina Margherita e fece soltanto uno schizzo all’acquarello, che è conservato come reliquia preziosa dalla famiglia Reale.

La mattina del giorno 11, alle 9, avvenne il trasporto della salma dalla camera del pianterreno nel salone degli Svizzeri. Uno squadrone di corazzieri, in tenuta di parata, si schierava nel cortile del Quirinale, facendo fronte da tre lati, e col quarto aperto verso la porta che metteva nel quartiere di Vittorio Emanuele. La compagnia di bersaglieri di guardia si schierava in faccia allo scalone. Le dame della Rezina attendevano, vestite a lutto, a metà dello scalone; nel cortile, sotto il porticato, erano aggruppate le famiglie degli ufficiali della Casa civile e militare, e il personale del palazzo.

Il corteo uscì in quest’ordine dalla camera mortuaria: un pelottone di corazzieri, due ale di staffieri in livrea con torcie, due cerimonieri: Simone Peruzzi e il conte Menabrea, il maggiore Giannotti, ufficiale d’ordinanza di Sua Maestà il re Umberto, il colonnello Guidotti, aiutante di campo di Sua Maestà Vittorio Emanuele, e due ufficiali d’ordinanza.

Veniva subito la salma del Re seguita da tutti i dignitari della Casa civile e militare e da un pelottone di corazzieri.

Il general Medici camminava a stento e non sapeva frenare le lagrime.

Il corteo traverso il cortile fino allo scalone, passando dinanzi alla compagnia di guardia. Quel silenzio alto e funereo non era interrotto altro che dal suono degli sproni sul lastrico e da qualche singhiozzo. Il corpo del Re, vestito in alta uniforme, e avvolto nel manto di Gran Maestro dell’Annunziata, foderato d’ermellino, era posato su una barella di velluto rosso, portata dai quattro ufficiali dei corazzieri. Il volto era calmo, perfettamente conservato.

Il corteo procedè fino al salone degli Svizzeri. Questa sala era stata tutta parata di velluto rosso. Sul fondo era stato eretto un catafalco sormontato da un baldacchino foderato d’ermellino. Ai due lati erano eretti due altari, e dinanzi correva una cancellata per tenere il pubblico a distanza. Il corpo del Re fu collocato sul catafalco in posizione quasi verticale, affinché se ne potesse scorgere il volto. Sul primo gradino del catafalco era posata la corona reale, lo scettro, la spada, e su un cuscino la corona d’oro, offerta dalla città di Roma in quei giorni. Più sotto le altre corone, fra le quali aveva il posto d’onore quella inviata dal Principe ereditario di Germania; attorno al feretro sedici candelabri accesi e altri nella sala.

Il giorno seguente e quello successivo il popolo fu ammesso a visitare la salma. Aveva accesso dalla porta di via Venti Settembre, traversava il giardino e in mezzo a una fila di soldati e giungeva alla scala di servizio, che mette al salone degli Svizzeri. Qui traversava la sala fra una doppia fila di carabinieri, e riusciva dalla parte che mette allo scalone per uscire poi dalla piazza del Quirinale. Ma la folla era tanta e tanta che si dovette impedire il transito delle vetture dalla via Venti Settembre e raddoppiare i soldati. Non erano i romani soli che venivano a contemplare per l’ultima volta le sembianze del Re, ma un pellegrinaggio devoto, composto d’Italiani di tutte le provincie, accorsi qui subito dopo la morte. A Roma in quei giorni vi erano più di centomila visitatori e molti recavano seco corone, per modo che ai piedi del catafalco vi era nell’ultimo giorno tutto un ricco tributo di ghirlande di fiori e di foglie di lauro e di quercia, emblemi spettanti solo ai soldati vittoriosi.

Durante queste visite a uno degli altari pregavano i cappuccini, all’altro i cappellani di corte, e attorno al feretro vegliavano i corazzieri.