Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/198

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«Torinesi!

«Nato fra voi, educato agli esempi dei quali mio padre lasciomni larga eredità, so quanto faceste per la patria, so il cordoglio del Piemonte nel vedere tolta a Superga la salma amata. Non meno grave del vostro è il mio sacrificio. Appena lo conforta la gloria serbata al primo Re soldato di riposare in Roma, mèta dell’Italia. La gloria di averla raggiunta si riflette su Torino e sul Piemonte dove mio padre imparò l’incrollabile costanza dei propositi.

«Chiesi a voi un sacrificio che io ho fatto; alla religiosa devozione, al patriottismo vostro affido la spada che il Re cinse da Novara a Roma. Dono a voi ciò che ho di più santo’ e di più caro, i segni di valore che il Re conquistava combattendo per l’unità e l’indipendenza della patria.

«Costì erigerò un monumento che eterni la memoria del primo Re d’Italia. So con quanto amore lo custodirete. Fra poco verrò a ringraziarvi dell’atto di abnegazione che vi ho domandato per significarvi quanto mi confortano i sentimenti di affetto verso me e la patria, dei quali voi generosi mi deste splendide testimonianze.

«UMBERTO».


La quistione della città che avrebbe custodito le ossa del Gran Re era risolta, non così quella della chiesa ove sarebbero stati celebrati i funerali, nè del luogo ove la salma sarebbe tumulata in attesa del monumento, per erigere il quale si raccoglievano somme ingenti. Era una gara pietosa fra comuni e province, istituti e scuole, fra poveri e ricchi per contribuire alla erezione del sontuoso Mausoleo al primo Re d’Italia, che non doveva sorgere altro che a Roma.

Si desiderava che Pio IX accordasse una delle quattro Basiliche per i funerali, e a preferenza S. Giovanni.

Monsignor Anzino intavolò trattative in proposito col Vaticano per conto della Corte e il ministro dell’interno col cardinal di Pietro, uomo mite, col quale aveva fatto conoscenza a Lisbona nel 1858 e aveva riannodato amicizia a Roma, e con monsignor di Marzio, dotto prelato siciliano, al quale è ora affidata la Palatina di Palermo. Il Papa era propenso ad accordar la Basilica, come accordò il clero per il trasporto funebre e la chiesa del Pantheon per l’associazione del cadavere e la tumulazione, facendo, dicesi, un ultimo atto di autorità, contro il parere del cardinal Vicario e del cardinal Bilio, che aveva con sè tutti i fanatici. Pareva che Pio IX mostrandosi clemente volesse amicare l’Italia e Roma al Papato per toglier di mezzo gli ostacoli al Conclave futuro, che egli più d’ogni altro doveva prevedere più vicino di quello che si credeva.

La scelta del Pantheon soddisfece il desiderio degli Italiani e appena si ebbe la concessione dal Vaticano, si incominciarono i lavori, affinchè la salma vi fosse trasportata il giorno 19.

Mentre questi fervevano il Consiglio Provinciale di Roma inviava il seguente indirizzo al Re, già votato in precedenza:


«Sire!

«Noi vi portiamo le lagrime della provincia di Roma per un’altissima sventura: la morte dell’augusto Vostro Genitore, Re Vittorio Emanuele. Esse sono testimonianza di immenso affetto per il grande estinto; sono arra di fedeltà a Voi che ne impugnaste la spada e lo scettro e volete serbare la lealtà e la fede nei grandi destini della Nazione.

«Sire!

«Noi vi siamo grandemente riconoscenti di aver consentito che la salma del Grande Figlio d’Italia riposi in questa Roma, il cui acquisto alla patria fu il più grande dei suoi trionfi, fu la chiave di volta