Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/207

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«Si, o Sire, Vittorio Emanuele può, senza adulazione, essere chiamato il padre della patria italiana, perchè codesta patria egli l’ha fatta col suo coraggio, colla sua fermezza e colla sua saggezza, dandole l’unità.

«Il 1789 aveva, in Europa, secolarizzato la società civile, il regno d’Italia secolarizza la società politica.

«Vostra Maestà continuerà l’opera paterna, noi ne abbiamo la profonda convinzione. Questa convinzione è permessa al popolo fortunato che ritrova in Leopoldo II il degno erede del fondatore della dinastia.

«Ricevete, Sire, con benevolenza, l’omaggio rispettoso e simpatico del consiglio comunale di Brusselles. Ricevete i nostri voti sinceri per la prosperità d’Italia una e libera, sotto lo scettro popolare della casa di Savoia».


Uno dei primi pensieri del nuovo Re fu quello di ringraziare Roma per le dimostrazioni di riverenza prodigate al padre suo, per i tributi di affetto che avevagli portato. Il prezioso autografo trovasi depositato negli Archivi Capitolini.


«R. palazzo del Quirinale, 4 febbraio 1878.


«Alla Diletta Città Capitale del Regno:

«Fino dal giorno in cui ci colpi la grande sventura che lo scorrere del tempo nona llevia, nè disacerba io aveva sentito il bisogno di rivolgermi per conforto alla città di Roma, terra di altissimi pensieri, che col suo solo nome aggiunge maestà ad ogni avvenimento, e serba consolazione per ogni dolore.

«Voi - Alti rappresentanti della cittadinanza Romana me ne avete prevenuto; ed io ve ne ringrazio.

«Roma — suggello infrangibile dell’Unità Italiana, monumento imperituro di Re Vittorio Emanuele con la inspirata disciplina del suo Popolo ha dimostrato, in questo giorno d’improvviso lutto, come qui sia pronta, viva, solenne la manifestazione della coscienza nazionale. Per questo l’Italia desiderò, e io ho consentito, che la salma del Re Liberatore restasse per voi, come ossequio al passato della prima Italia, come pegno di fede e di promesse per l’Italia rediviva.

«Cosi ai Romani io confidai ciò che di più sacro ho in terra.

«La religione dei sepolcri è secolare ed inviolata nella mia Casa. Sulla tomba del mio Avo magnanimo e sfortunato, il Re Vittorio Emanuele giurò di compiere l’impresa a cui Carlo Alberto aveva sacrificato la corona e la vita. Quel giuramento fu mantenuto. L’Italia sa quale è il voto che io ho pronunziato sull’avello del Glorioso Re mio Genitore, nè io lo dimenticherò giammai.

«UMBERTO»


La Regina non era stata dimenticata dalle signore romane; a lei, la bella, la buona, la colta sovrana, esse si affrettarono a presentare un indirizzo così redatto:

«Maestà!

- Per l’immensa sciagura che ha colpito l’Augusta Vostra Famiglia e che destò così profondo il lutto della Nazione rafforzandone la fede e gli affetti, noi abbiamo lacrimato con Voi, abbiamo partecipato alla Vostra angoscia di Figlia, di Sposa, di Italiana.

«Oggi, Maestà, noi Vi preghiamo di accogliere questa testimonianza della nostra devozione e del nostro dolore, al quale è conforto il pensiero di chiamare Regina Voi, che meritate per virtù la grandezza, e a cui l’amore del popolo giunse prima che lo splendore del trono».