Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/250

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scuole si sono collegate in un ordine di idee e di fini comuni, e convennero nell’adozione dello stesso metodo di apostolato, e degli stessi mezzi di agitazione, palesi e sinceri e dentro l’orbita giuridica - da cui la loro forza e fondarono la Lega della Democrazia.

«Il Comitato al quale fu affidato l’alto ufficio si compone dei nomi che già furono pubblicati.

«Questo comitato nominò nel suo seno una Commissione esecutiva residente in Roma.

«Il congresso del 21 aprile, non ha solo celebrato una lega politica, ma dissipati malintesi, rinnovellate o strette amicizie.

«Ogni scuola della democrazia serba la individualità propria nello svolgimento e nella propaganda delle rispettive dottrine, ed a ognuna appartiene l’arbitrio delle inerenti iniziative, ma ognuna altresì ne risponde. Pur sono sicuro che tutte, animate da un elevato sentimento di carità di patria e guidate da quella sapienza civile, che anche le altre genti riconoscono negli Italiani, vorranno coordinare la loro opera particolare e specifica, e contemperarla a quella generale del Comitato della Lega.

«E poichè la Lega della Democrazia si assunse di circoscrivere il proprio lavoro entro i termini del diritto e dei mezzi pacifici, avverta chi governa l’Italia che, ove tale diritto sia contrastato o impedito o in qualsivoglia modo manomesso, la responsabilità al cospetto della nazione e della storia sarà tutta sua, se, per la tutela e la riconquista di quel diritto, la Lega della Democrazia, con la coscienza della legittima difesa, si appiglierà ad altri mezzi da quelli che si è prefissi. Roma, 26 Aprile 1879.

«G. Garibaldi».


Come appare chiaro, il desiderio di costituire la «Lega della democrazia» aveva condotto il Generale a Roma; ma appena compiuto questo atto, che s’era imposto come un dovere, provo di nuovo il desiderio della solitudine. Garibaldi in quel tempo faceva pietà davvero. Soltanto gli occhi conservavano lo sguardo carezzevole ed energico, che pareva rivelasse la sua doppia natura di angiolo e di demone, attribuitagli dalla leggenda; ma il corpo era quello di un infermo. Intirizzite le gambe, curva la persona, emaciato il volto e rattrappite per modo le mani che appena poteva portarsi la destra al berretto per far cenno di salutare, egli non era più che l’ombra del baldo guerriero del 1848 e del 1860.

Alla fine d’aprile il generale parti per Albano, ma prima volle donare al Municipio il magnifico scudo offertogli da Francesco Crispi a nome dei Siciliani. Il Sindaco andò a ringraziarlo, e lo scudo fu collocato nei Musei Capitolini.

Ad Albano il generale abitava la bella villa Le Lieure, con gli alberi folti che la circondano dal lato della strada e sul di dietro il vasto orizzonte che le si apre davanti fino al mare. Là faceva vita ritirata in mezzo ai suoi bimbi, Clelia e Manlio, attendendo con impazienza che fosse sciolto il suo matrimonio con la marchesa Raimondi, per dare a quelle due creature il suo nome. Egli sentiva prossima la fine e le lungaggini del processo lo amareggiavano.

In luglio andò ai bagni a Civitavecchia, ma non gli recarono quel giovamento che ne sperava, anzi i dolori si acuirono, ed egli volle tornare a Caprera.

Il Re e la Regina si dedicarono in quell’anno a differenti occupazioni, egualmente utili. Umberto I studiava assiduamente gli atti del Parlamento italiano, fino dalla sua costituzione, per cercare nel passato ammaestramenti per l’avvenire, e intanto dava ordine all’amministrazione della lista civile, che aveva trovata, al suo salire al trono, in stato deplorevole. Il Re aveva in orrore le passività e voleva che fossero estinte con la maggior sollecitudine, in onore alla memoria del padre, senza per questo che la Corte dovesse rinunziare al fasto di cui intendeva fosse circondata. L’impresa