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Buchnam, addetto all’ambasciata inglese, per la cessione di una parte dell’ex-convento del Gesù e Maria al Babbuino a fine di costruire una chiesa inglese. Il Vaticano si risentì, ma aveva torto, e la prova si è che i consiglieri clericali della Giunta Provinciale avevano approvato la cessione nell’interesse del Municipio, poiché è vero che vi era un’offerta di romani per costruire in quell’area una chiesa, ma era meno vantaggiosa dell’altra.

Nel mese di febbraio il Papa fece demolire la sala del Concilio Ecumenico, che occupava tutta la navata di destra della croce latina nella Basilica Vaticana, chiusa fino dai primi del 1870. Tutto il materiale fu trasferito nei magazzini del Belvedere, dove si conservava il parco d’artiglieria dell’esercito pontificio. Appena gli speculatori vennero a notizia che Leone XIII aveva ordinato quella demolizione, si offrirono di comprare il legname, ma il Papa non ne volle sapere, e rispose: «Non voglio che si venda nulla, perchè non intendo che si faccia la seconda dei piatti di Castel Gandolfo».

Il Papa manifestava una così bella attività nell’amministrazione delle cose della Chiesa, che meravigliava tutti. Egli aveva creato scuole in così gran numero e così bene ordinate da fare seria concorrenza a quelle municipali, pure eccellenti. Il suo amore per le cose d’arte si rivelava nella attenzione prestata ai restauri della Basilica Ostiense, e nell’incoraggiamento agli artisti a quelli preposti, dal quale non fu escluso il comm. Pareto, ispettore del genio civile. Gli studi storici gli stavano specialmente a cuore, e ne dava prova acquistando codici giuridici preziosi, da Giustiniano fino a Gregorio IX, e collezioni di documenti del secolo XVI, dei quali concedeva l’uso all’Accademia storico-giuridica di Roma, per maggior vantaggio del pubblico.

Sua Santità riunì anche in Roma 150 professori delle università Cattoliche per impartir loro istruzioni sull’insegnamento delle dottrine filosofiche di San Tommaso d’Aquino, alle quali egli ha dato una rifioritura insolita.

In quell’anno l’esito felice della spedizione svedese al polo artico, aveva commosso e stupito il mondo. Il fortunato bastimento che aveva il nome di Vega, era approdato a Napoli, e la spedizione di cui faceva parte anche il tenente Bove, italiano, venne a Roma il giorno 20 di febbraio. Alla stazione fu ricevuta dal sindaco Ruspoli, dal comandante della divisione, generale Bariola, dalla banda municipale, da quasi tutti i membri della Società geografica, dagli studenti dell’università e del liceo, dal ministro di Svezia e Norvegia, da professori, signori e da molte notabilità. Appena i viaggiatori scesero dal treno, il principe di Teano, l’on. Barattieri e il comm. Cristoforo Negri mossero loro incontro, dando il benvenuto al professor Nordenskiöld, capo della spedizione, il quale fu presentato al sindaco. Due belle carrozze di casa Teano accolsero i viaggiatori svedesi. Bove, che tutti cercavano, aveva raggiunto il comm. Malvano e il professor Pigorini, e mescolato fra la folla, era uscito appena veduto e riconosciuto da pochi.

Per via Nazionale i viaggiatori furono salutati da applausi, che gli accompagnarono fino all’Albergo di Roma, dov’erano alloggiati a cura del municipio. La sera il barone di Lindstrand, ministro di Svezia, offrì loro un banchetto. Il giorno dopo i viaggiatori furon ricevuti al Quirinale e nella sera ebbero un banchetto al nuovo Albergo Continentale dalla Società geografica; la terza sera essi pranzarono a corte. Il quarto giorno la spedizione si sciolse; il Nordenskiöld rimase a Roma, il Bove andò ai patri lari, e poi tornò per fare una conferenza in pro di una spedizione italiana al polo antartico, che era l’idea vagheggiata da lui, e gli altri ufficiali andarono a Spezia per vedere il Duilio. A Roma la breve visita dei coraggiosi viaggiatori destò una grande curiosità; tutti volevano vederli e parlare con loro, cosicché ebbero una infinità di visite e di inviti.