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Il corteo mosse alle 2 da piazza del Popolo, e impiegò un’ora e mezzo a sfilare fra la calca del Corso. Sfilava muto, senza musiche. Attorno al carro sul quale stava la statua della Libertà incoronante l’erma di Garibaldi, sventolavano quaranta labari con l’iscrizione di altrettante battaglie combattute dall’eroe in Italia, in America e in Francia, ed erano preceduti dalle bandiere del comitato promotore Roma a Garibaldi, e seguiti da 186 bandiere di associazioni. Ma appena il corteo si mise in moto, un pànico, prodotto non si sa da chi, fece fuggire l’immensa folla nelle vie adiacenti, nelle case, nelle botteghe. Il Corso rimase vuoto assolutamente; la gente infrangeva i vetri delle botteghe e rompeva le porte delle case per trovare un rifugio, calpestava, era in preda alla pazzia della paura. I Reduci impedirono disgrazie maggiori e le persone dai terrazzi gridavano che non c’era ragione di fuggire; ma di lì a poco nuovo pànico. Si crede che una comitiva di ladri lo spargessero nella folla per far bottino; difatti furono commessi molti furti e borseggi.

Trattenuto da queste continue interruzioni il corteo giunse tardi in Campidoglio. Sulla piazza erano ad attendere il busto il duca Torlonia, tutti gli assessori, e i consiglieri Armellini, Carancini, Pericoli e Re. Il funzionante sindaco nel ricevere il busto disse:


«Reduce dalla pietosa cerimonia nella romita Caprera, ove Re e popolo confusero le loro lagrime alla tumulazione del grande cittadino, oggi chiamato dal popolo di Roma all’insigne onore di ricevere l’effigie in Campidoglio dell’eroe leggendario, al tributo popolare di affetto non aggiungo che una sola parola: è felice l’Italia di questa solenne testimonianza di concordia nazionale nel nome di Garibaldi».


Bovio presentò al popolo il signor Songian, presidente del Consiglio municipale di Parigi, e la cerimonia terminò senza altri incidenti.

La Società Operaia fece una solenne commemorazione a Garibaldi; il duca Torlonia offrì un banchetto ai francesi in Campidoglio; ma il funerale a cura dello Stato non si fece, forse perché quello popolare era riuscito così disordinato.

Roma ebbe però la sciabola e diversi altri oggetti appartenenti al Generale e formò il museo delle memorie di Garibaldi al Campidoglio. La sciabola era in possesso di un certo signor Chambers, inglese, che aveva seguito il generale nella campagna del 1866 e avevala avuta come pegno di riconoscenza delle cure prestate a Garibaldi da lui e da sua moglie.

Terminate le onoranze in tutta l’Italia, la famiglia Garibaldi pubblicò il seguente ringraziamento:


«Alle rappresentanze ufficiali, politiche, militari, amministrative, operaie, democratiche, ai Reduci, ai Mille, alle rappresentanze universitarie, agli studenti, alla stampa, agli amici:

«Al supremo cordoglio che ha colpito la nostra famiglia, fu conforto il suffragio che da ogni parte d’Italia ci venne di amore e di rimpianto. A tutti, con animo riconoscente e commosso, mandiamo dal più profondo del cuore le attestazioni della nostra ardente e costante gratitudine.

«Francesca Garibaldi Armosino — Menotti Garibaldi — Ricciotti Garibaldi — Teresita Canzio-Garibaldi — Clelia Garibaldi — Manlio Garibaldi — Stefano Canzio».


Il Papa aveva fatto parlare pochissimo di sè nella prima metà del 1882, ma aveva efficacemente lavorato al ristabilimento delle buone relazioni con le potenze.

In gennaio era venuto a Roma il signor Busch, funzionario intelligente della cancelleria tedesca, per studiare le norme necessarie all’amministrazione ecclesiastica del regno di Prussia. Il signor Busch ripartì, ma venne come inviato del re Guglielmo I il signor Schloezer, il simpatico e geniale di-