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Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/321

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L’ambasciata d’Austria al palazzo Chigi e quella al palazzo di Venezia erano continuamente sorvegliate dalle guardie e con ragione, ed esse facevano abortire ogni inizio di dimostrazione al grido di «viva Oberdank!» che sulla fine dell’anno era stato processato e giustiziato in Austria. Quelle dimostrazioni potevano creare delle noie gravi al Governo e rinfocolare le aspirazioni della Irredenta, tenute a freno dal Depretis. Un giorno mentre la carrozza del conte Paar tornava dal Vaticano, un certe Valeriani lanciò contro quella un sasso. Era un disperato che forse non sapeva neppure di tirare contro l’Ambasciatore, ma il Governo s’impensierì e l’on. Mancini non tardò un momento a recarsi dal conte Ludolf per deplorare il fatto.

Sul finire dell’anno si spense don Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta, assistito amorosamente dal figlio e dalla figlia, contessa Lovatelli.

Il Re voleva che gli fosse fatto un sontuoso funerale quale spetta ai collari dell’Annunziata, ma il figlio valendosi del testamento lasciato dal padre, e che stabiliva le norme del trasporto, ottenne che la volontà del duca di Sermoneta fosse rispettata.

Molti anni prima don Michelangiolo aveva fatto costruire due casse: una d’olmo e l’altra di piombo e su questa aveva fatto porre una targa con la seguente iscrizione:

michael angelus cajetanus
mortem expectans
sepulchrum sibi paravit
anno domini mdccclxx


I funerali furono modestissimi. Sul carro di seconda classe era posta la sola ghirlanda di casa Triggiano, dietro due sole carrozze delle pompe funebri, dieci preti e venti cappuccini. L’assoluzione del cadavere fu data dal parroco di S. Angelo in Pescheria. Di ritrattazione in estremo non c’era stato bisogno, perché il cardinal di Pietro, parente ed amico del duca, aveva dato l’assoluzione in articulo mortis.

Una grande aspettativa riempiva gli animi alla fine del 1882: il palazzo delle Belle Arti era terminato, e il 14 gennaio doveva inaugurarsi la grande esposizione artistica, la prima che vedeva Roma; un lavoro affrettato si compieva nel palazzo riconosciuto già angusto per accogliere tante opere d’arte, e nei baracconi attigui. Gli artisti erano in parte giunti per assistere al collocamento dei lavori, e i giornali incominciavano a segnalare al pubblico quelli più degni di attenzione. Il popolo che di quella festa artistica poco si curava, non occupavasi d’altro che di Coccapieller e dell’Ezio II, che andava a ruba.