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di espropriare, era richiesto di somme favolose, e a tali salirono pure le immonde case del Ghetto e del quartiere dei Monti. Trecento lire al metro per terreni situati in località non centrali, era prezzo corrente; se poi il municipio voleva disfarsi di qualche area, vedeva andar deserte due o tre aste, e non ne ricavava quasi nulla. Per esempio era stata acquistata la villa Casali per costruirvi l’Ospedale Militare, al prezzo di 10 lire al metro; il terreno non bastava e si volle acquistare qualche appezzamento limitrofo, ma non si potè per l’esorbitanza delle domande.

All’Esquilino il Comune non potè vendere neppure un metro di terreno. Si chiamava speculazione, ma era camorra bella e buona e si vide dopo, quando avvenne la crisi edilizia.

Il municipio acquistò in primavera il ponte di Ripetta, dalla Società anonima Belga, per 150,000 lire, e così i Romani non dovettero più pagare il pedaggio.

Si voleva indurre il municipio a fare un altro acquisto, non strettamente necessario, ma non vi si riuscì per il parere contrario che dette in Consiglio Giovan Battista de Rossi. Si trattava della bella collezione di Alessandro Castellani, che gli eredi, non potendo vendere in blocco, misero all’asta. Essa era esposta nel cortile del palazzo Castellani, in piazza Poli, in quel palazzo tutto rosso con l’androne ornato di basso rilievi antichi ora scomparso. Le vendite erano fatte dalla ditta Mannheim e Hoffmann e richiamarono a Roma gran numero di amatori di cose antiche e di signori stranieri. Vi assisteva tutta Roma e ogni oggetto era disputato da più persone per modo che saliva a prezzi favolosi.

Era stato aperto il concorso per il Policlinico. La commissione giudicatrice componevasi di molte illustrazioni dell’arte medica e di alcuni artisti. Il secondo premio fu aggiudicato all’ing. Podesti da Roma, non il primo, perchè l’artista erasi un poco scostato dal programma.

In maggio sparì un’altra figura cara a Roma e a tutta l’Italia. Mori Giovanni Prati, il cantore di Ermengarda, delle Grazie e di Armando. Dopo il 1870, il Prati era stato sempre a Roma, e chi voleva vederlo era sicuro incontrarlo da mezzogiorno alle due innanzi al Caffè del Parlamento, col virginia spento fra le labbra, il lungo soprabito abbottonato fino al mento, e la rosetta della Legion d’Onore all’occhiello. Non era mai solo, e gli amici che lo accompagnavano erano sicuri di udir sempre uscire da quella bocca parole sdegnose e acerbe critiche.

La sera andava sempre dal Morteo, ove trovava gli stessi ascoltatori. Da poco tempo il piccone demolitore aveva fatto sparire il caffè e la birreria ove il Prati passava tanta parte del suo tempo, ed egli ne era stato afflitto. Non si vedeva più, e si sapeva che era ammalato, e dopo molto patire spirò fra le braccia della moglie e della figlia.

Il senatore Moleschott, che lo aveva curato, ne fece la commemorazione al Senato. I funerali riuscirono solenni per il largo concorso dell’autorità e dei colleghi, e commoventi per la presenza di tutte le alunne dell’Istituto Superiore Femminile, che il Prati dirigeva.

Era appena morto Giovanni Prati, che venne a mancare il cardinal de Falloux, l’elegante e intransigente porporato francese, e di li a poco seguivalo nella tomba il marchese Ranieri de’ Cinque, già guardia nobile del Papa, patrizio molto noto, che morendo fece parlar di sè, perchè non volle preti, e lasciò tutti i suoi beni all’Ospizio dei Ciechi «Margherita di Savoia».

Per le solite divisioni nel campo dei liberali la vittoria potè arridere ai candidati della Unione Romana nelle elezioni amministrative parziali del giugno. In quel tempo si faceva alla Minerva un triduo di riparazione alla Madonna per le offese della stampa. Il risultato delle elezioni si conobbe appunto l’ultima sera del triduo. Dopo la benedizione del cardinal Parrocchi, il quale aveva sostituito il Monaco La Valletta nella carica di Vicario di Roma, i fedeli si misero a batter le mani