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guadagni palesi e quelli occulti, aveva trovato con lo Sbarbaro così proclive nel diffamare, e col suo sistema di mandar le bozze degli articoli ai diffamati, una vera vena aurifera, che si esauri presto peraltro. Le Forche, affidate al Maccaluso, più scrupoloso dello Sbarbaro, e poi al Foschini, che non aveva misura e non era Sbarbaro, decadevano, ma il Sommaruga aveva già pensato a creare un altro giornale, il Nabab, giornale elegante e mondano, diretto da Enrico Panzacchi. Il Sommaruga aveva immaginato un abile quanto pericoloso sistema per collocare molte azioni del Nabab, e se tutti i pesci avessero morso all’amo, il nuovo giornale sarebbe divenuto degno del titolo. Egli faceva accennare negli articoli delle Forche e in una specie di programma «Roma palese e Roma occulta», che stampava anche nella Cronaca Bizantina, tanti nomi di persone che avrebbe molestato, e a quelle stesse inviava una scheda di sottoscrizione di 500 lire.

Questo giochetto non sfuggì al questore Serrao, che teneva d’occhio il Sommaruga. Il Nabab vide la luce e aveva tutte le apparenze di un giornale onesto, perchè l’editore sapeva che Enrico Panzacchi non si sarebbe prestato mai a nessuna bassezza, e che la rispettabilità del direttore del Nabab gli giovava. In quel tempo a Roma voci strane correvano sul Sommaruga; si diceva che fosse stato lui che avesse venduto il segreto del nascondiglio di Sbarbaro alla questura, che avesse tentato di vendere anche le Forche, e che egli fosse rovinato. Difatti deprezzava libri che avrebbero potuto rendergli molto, offrendoli sul mercato a un prezzo molto inferiore a quello segnato sulla copertina prima ancora di pubblicarli, come faceva per «Alle Porte d’Italia» del de Amicis, mentre poi pagava profumatamente gli scrittori del Nabab, e non si negava nessun lusso, neppur quello di una bellissima donna, la famosa Adele Mai, che era l’attrattiva principale delle serate della Cronaca Bizantina quando aveva sede nel mezzanino sull’angolo fra i Due Macelli e il Tritone, e poi in via dell’Umiltà.

Il Sommaruga fu arrestato il 21 febbraio e la notte avanti s’era mostrato al Costanzi, al veglione, in compagnia della bella etera. Fu dichiarato il fallimento, ma il Sommaruga ottenne subito la libertà provvisoria, con l’obbligo di soggiornare a Palestrina.

II processo contro Angelo Sommaruga si fece soltanto nell’estate. I capi d’accusa erano molti. Egli si trovava colpito dalla imputazione di truffa continuata per aver carpito denari e oggetti agli artisti Serra, Bazzani, Michetti e Carcano, promettendo loro appoggi illusorii per fare acquistare dal Governo i loro lavori; di tentativi di truffa, per aver cercato di ottenere denaro ed oggetti dagli artisti Azzolini, Jacovacci, Gallori e Laccetti, facendo loro promesse, che sapeva di non poter mantenere; di tentativi di estorsione a danno del comm. Oblieght, dei senatori Allievi e Villapernice, del comm. Rattazzi e della signora Enrichetta Castellani, per aver tentato di carpir loro denaro con pubblicazioni scandalose.

Il Sommaruga comparve all’Assise a piede libero, e come testimoni furono uditi i letterati più insigni e gli artisti più celebri d’Italia. Il de Renzis e l’on. Martini, segretario generale della pubblica istruzione, esclusero che nella commissione per l’acquisto delle opere esposte alla mostra del 1883, fosse possibile che si commettessero mercimoni, dato il modo della votazione; molti artisti furono generosi, come il Michetti, che attesto di aver dato al Sommaruga 6000 lire spontaneamente sul prezzo ricavato dalla vendita del Voto, e anche questa confessione di avergli data una somma la fece solo messo alle strette. Lo Sbarbaro, tradotto ammanettato come testimone, fu amenissimo, e dette al suo editore dell’asino quanto ne volle; altri aggravarono la situazione del Sommaruga, che fu condannato a sei anni di carcere e a 660 lire di multa. Però quel processo, come l’arresto dell’avv. Lopez mentre difendeva lo Sbarbaro, fecero capire che c’era molto, ma molto marcio a Roma.