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provvedere a quella intellettuale, ed egli disse che il suo Governo vi avrebbe provveduto con riforme scolastiche, come pure avrebbe provveduto al riordinamento della giustizia e degli istituti d’emissione.
Egli aggiunse che l’Italia con le sue alleanze era elemento di pace, al mondo, e come egli avesse avuto occasione, nel suo ultimo viaggio in parecchie provincie, di vedere quali erano i sentimenti che il popolo nutriva per lui.
Ricordò la visita dell’Imperatore di Germania, aggiungendo che i legami che univano i tedeschi agli italiani ed alla sua famiglia erano segno della pace. «E la pace, lo affermo, sarà da noi mantenuta».
Il discorso fu favorevolmente giudicato e venne a rafforzare le speranze che si nutrivano, per l’avvenire.
Il 31 gennaio era distribuito ai deputati un libro Verde sulla convenzione per la libera navigazione nel canale di Suez, che il 2 febbraio era seguito da un altro sull’Africa.
Questo secondo libro Verde era una relazione dei fatti succedutisi dal 30 maggio 1888 al 2 settembre dello stesso anno. Il 30 maggio e il 1° giugno il governatore Baldissera aveva emanato due decreti: uno imponeva ai proprietari e ai commercianti una tassa mensile, secondo la categoria alla quale sarebbero ascritti, di 2, 3, 5 o 7 lire; l’altro obbligava gli esercenti di trattorie, ristoranti, caffè, cantine, birrerie e liquorerie alla rinnovazione dei permessi d’esercizio, a una tassa d’iscrizione variante dalle 25 alle 50 lire, e ad un’imposta mensile di 2, 4 o 6 lire; e questi due decreti contenevano altresì prescrizioni d’igiene e d’ordine. Erano dunque tasse municipali che il Baldissera imponeva agli abitanti di Massaua, e siccome ne era in pieno diritto, nessuno, pareva, avrebbe dovuto contrastarglielo, giacchè il Governo adempiva a tutti gli obblighi ed aveva tutti gli oneri d’una sovranità; e del resto le proteste sarebbero venute in ritardo, perchè anche prima di questi decreti gli esercenti di Massaua pagavano tasse: il secondo decreto diceva che dovevano rinnovare, e non procurarsi il permesso d’esercizio. Il Governo francese credette opportuno d’intervenire, e il suo ambasciatore presso il Governo italiano, conte de Moüy, protestò il 12 giugno con una nota verbale. L’Italia non rispose e il 24 giunse una nuova protesta del Governo della Repubblica.
Il Crispi rispose che in seguito all’occupazione italiana essendo scomparso ogni dominio musulmano a Massaua, erano perciò cessati tutti i diritti di capitolazione, che il Governo francese invocava nella protesta, ammesso che la capitolazione fosse esistita; ed egli confrontò i diritti di dominio dell’Italia su Massaua con quelli della Francia su Obock.
Nello stesso tempo la Grecia protestò, appoggiandosi sul trattato italo-greco del 1877 a favore dei greci dimoranti a Massaua, ma il Crispi dimostrò al ministro di Grecia l’inopportunità di questa protesta, che non aveva neppure un’apparenza di diritto.
In quel tempo si seppe che i francesi residenti nella colonia non erano che due, e il Governo della repubblica prese allora per pretesto delle sue note la protezione dei greci, protezione che l’Italia non volle riconoscere. Il vice console francese a Massaua si oppose all’effettuazione dei decreti e quasi impose ai francesi e ai greci la resistenza: il Baldissera fece chiudere i negozi dai militari. La questione s’inaspriva, e allora si seppe che il Governo francese aveva sempre fatto comprendere che non cederebbe a Massaua se l’Italia non cedesse a Tunisi.
Le altre nazioni avevano riconosciuti i diritti che l’Italia esercitava, e così il Governo lasciò che le note si succedessero alle proteste e attese con calma che il gabinetto francese si stancasse, e si stancò infatti: poichè l’ultima nota era molto indolente.