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pedire che Leone XIII entrasse in terra italiana, come sarebbe entrato varcando le porte del Vaticano, senza gli onori dovuti alla sua persona. A tutti gli sbocchi del palazzo pontificio il ministro dell’interno faceva stare in permanenza, giorno e notte, alcune carrozze di piazza, a disposizione d’ispettori di pubblica sicurezza, per esser subito informato della partenza di Leone XIII. Era una cuccagna per i vetturini, che avevano 20 lire il giorno. Ma il Papa, come era del resto da prevedersi e, a malgrado delle voci sparse, non partì, e il Governo non ebbe il bisogno di rendergli nessun onore.

Il 9 luglio Cavallotti interpellava il Crispi sui rapporti dell’Italia con alcune potenze, ed era spinto a chiedere schiarimenti da vari incidenti internazionali, che erano venuti a turbare il chiaro orizzonte della politica estera: il trabaccolo Isla era stato assalito da doganieri austriaci; una barca peschereccia era stata catturata da agenti tunisini; la polizia austriaca aveva arrestati alcuni italiani; e le autorità austriache avevano impedito agli italiani di recarsi a Riva.

Il Presidente del Consiglio rispose con un elevato discorso, mostrando come alcuni, facendo quello che avevano fatto, ne avevano pieno diritto, spiegando gli abusi degli altri, e dicendo che le soddisfazioni, ove a soddisfazioni l’Italia aveva diritto, o erano già state date, o si attendevano con sicurezza.

La Camera approvò e andò allegramente in vacanza, non prevedendo, forse, neppur per idea il decreto di chiusura della sessione, che era presentato all’approvazione del Re, e che compariva nella Gazzetta Ufficiale il 2 agosto, e nel quale si voleva vedere un preludio di scioglimento.

Il caldo soffocante, il bisogno di fresco e d’ombra influì sulle decisioni della Giunta, che approvò il progetto Lionotte per l’impianto d’un pubblico giardino al Quirinale, giardino del quale non si vide quasi traccia fino al 93, in occasione delle Nozze d’Argento dei Sovrani, quando si giudicò cosa indecente che gli appartamenti degli Imperiali di Germania aprissero su quell’incolto sterrato.

Nei primi giorni d’agosto due grandi lutti colpirono la Chiesa e lo Stato: il 6 spirava a Napoli nella villa Amirante a San Giorgio a Cremano, il cardinal Massaia, il missionario dei Galla, e la chiesa pianse quel valoroso campione che moriva vittima della sua abnegazione.

Il 9 alle 7 e un quarto, l’ultimo superstite di quei generosi fratelli che avevano combattuto da un estremo all’altro dell’Italia, Benedetto Cairoli, l’insigne uomo che aveva valorosamente pugnato non solo in guerra, ma anche nelle più difficili battaglie della politica, cessava di vivere in una ridente villa di Capodimonte. Il lutto dell’Italia fu profondo, e davanti al feretro di quel grande i suoi nemici piansero, e le più disparate idee trovarono un punto d’accordo in quel dolore.

Il 12 il Re e il Principe ereditario lasciarono Monza per recarsi alla Spezia, ove s’imbarcarono sul yackt reale Savoia, per fare un giro nel Mediterraneo, giro che aveva per meta una visita nelle Puglie. Scortato dalle regie navi Italia, Vesuvio, Elia, Duilio, Goilo, e Bausan, il Savoia salpò il 15 dalla Spezia per la Maddalena, ove il Re e il Principe visitarono le fortificazioni, e d’onde andarono a Caprera per vedere la casa di Garibaldi.

Il 18 mattina, il Savoia entrava nel porto di Napoli, che abbandonava poi il 20, facendo rotta per Taranto.

Alle 8,30 del 21, fra le salve dei cannoni delle navi ancorate nel porto di Taranto, salutato dagli urrà dei marinari, il Savoia entrava nel Mar Piccolo, ove nel dopo pranzo era inaugurato il ponte girante Margherita.

Il Re e il Principe, coi ministri Crispi, Brin e Lacava, rimasero a Taranto fino al 22, giorno nel quale partirono per Lecce, e di là si recarono a Brindisi e a Bari, che lasciarono il 25 diretti a Roma.

Il 20 luglio partivano dall’Harrar il Degiac Makonnen con suo nipote Fituarari Barritù, l’Abba