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Il 1892.
Il 1890 aveva legato al suo successore la quistione di Roma, e il 1891 faceva altrettanto con l’anno nascente. Lunga, intricata e dolorosa questione era quella, e pur troppo doveva lungamente ancora agitare la capitale.
Il memento continuo della necessità che il Governo pensasse a riprendere i lavori edilizi secondo la legge del 1890, e ne regolasse con legge il proseguimento, lo pronunziava la miseria, con molte e diverse manifestazioni, e la carità pubblica e quella privata erano impotenti a farle tacere.
Fu fatta una distribuzione di oggetti di vestiario, di balocchi e di dolci all’anfiteatro «Umberto I» il giorno della Befana. Un comitato di signore e signori, che si adunava presso donna Carolina Rattazzi, fece miracoli per mettere insieme maggior roba da dispensare, ma la quantità di donne e di bambini che aspettarono ore e ore sotto una pioggia dirotta e gelata per avere un piccolo dono, il loro aspetto desolante, la eloquenza disperata con cui le madri esponevano i bisogni delle loro creature, fecero capire che la miseria era anche maggiore dell’anno precedente quando l’Albero di Natale era stato eretto per cura di Olga Lodi nel palazzo delle Belle Arti. Allora a trattenere la folla invadente dei miseri era bastata una linea di sofà disposti intorno all’albero e la voce delle signore, che distribuivano i doni; qui bastavano appena le porte dell’anfiteatro ben guardate da carabinieri; e se al palazzo di via Nazionale erano accorsi in una bella e serena giornata invernale un diecimila poveri, all’«Umberto» ne vennero più del doppio, sfidando la pioggia e il freddo intenso.