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monsignor Persico, monsignor Luigi Galimberti, nunzio a Vienna, monsignor di Pietro, nunzio a Lisbona, monsignor Malagola. Questi gli italiani; gli stranieri poi erano: monsignor Vaugan, arcivescovo di Westininster, monsignor Logue, irlandese, monsignor Kopp arcivescovo di Breslavia, monsignor Krementz, monsignor Vaszary, primate di Ungheria, monsignor Sanz, monsignor Mignau e monsignor Thomas.

Naturalmente la presenza di tanti cardinali a Roma dette luogo a feste ecclesiastiche per la presa di possesso delle diverse chiese di cui essi furono nominati titolari e a ricevimenti alle ambasciate presso la Santa Sede. Fu collocata in quel tempo con molta solennità anche l’ultima colonna della chiesa di San Giovacchino in Prati, che doveva essere terminata in breve. I due nunzi non vennero in quell’occasione a Roma, e il Papa spedi loro la berretta per mezzo di due ablegati. A Lisbona andò il marchese Sacchetti, a Vienna il Galimberti, fratello del neo-cardinale.

Il conte di Torino continuava ad abitare Roma. Egli era iscritto al corso di equitazione di Tor di Quinto e come animava con la sua presenza le eleganti riunioni, così spronava i giovani signori a dar prova di destrezza negli esercizi equestri. Si costituì in quel tempo un comitato per le corse dette «Cross-Country» di cui facevano parte il Principe e gli ufficiali di Tor di Quinto e si aprirono le sottoscrizioni per partecipare al Torneo in onore dei Sovrani. I giovani romani e gli ufficiali di stanza qui risposero numerosi all’appello, perché sapevano che avrebbeli guidati il conte di Torino, per il quale nutrivano grande simpatia, e lo stesso avvenne a Napoli, ove risiedeva il Principe Ereditario, e a Firenze ov’era di guarnigione il duca d’Aosta.

Il Torneo doveva essere la parte cavalleresca e pomposa delle feste d’aprile; l’altra, l’utile, la benefica, era rappresentata dall’Istituto per gli orfani degli operai morti sul lavoro, che il comitato aveva deliberato di fondare, e per il quale già erano iniziate le sottoscrizioni. L’Istituto doveva sorgere a Roma.

Mentre i giornali continuavano a far polemica accanita contro il Governo e ogni tanto compariva qualche nuova accusa contro gli istituti di emissione, incominciarono a Roma le trattative fra i rappresentanti della Banca Nazionale e della Banca Romana, per la fusione dei due istituti, e il mercato ne rimase perplesso. Altre trattative erano state iniziate fra il comm. Apellius e due consiglieri della Banca Nazionale per la fusione della Banca Nazionale Toscana e della Banca Toscana di Credito a fine di costituire la Banca d’Italia.

La fusione fra questi tre ultimi istituti si fece dopo la metà di gennaio e quasi contemporaneamente l’on. di Rudinì mandava al presidente della Camera una interrogazione per conoscere se era vero che essendosi riscontrate gravi irregolarità in qualche istituto d’emissione, il Governo aveva dovuto dare un nuovo indirizzo alla sua politica bancaria. E fra i deputati il rappresentante di Caccamo non era il solo a impensierirsi di ciò che accadeva, perchè la sua interrogazione fu seguita da altre.

Prima che la Camera si riaprisse i delegati della Banca Romana e quelli della Banca Nazionale e delle due Banche Toscane convennero che i rappresentanti della Banca Romana avrebbero chiesto al loro Consiglio di domandare all’assemblea degli azionisti la liquidazione dell’istituto e di proporre che la Banca Nazionale fosse nominata liquidatrice o per essa la Banca che l’avesse surrogata. Questa pagava per ogni azione della Banca Romana 450 lire ritirando le azioni e assumeva l’attivo e il passivo dell’istituto in liquidazione.

Questo fatto aumento lo sgomento in città e quasi non bastasse, in quello stesso giorno, che era il 17 gennaio, si sparse la notizia della fuga del comm. Cucciniello, direttore della sede del