Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/498

Da Wikisource.

— 486 —

avesse preso l’iniziativa della mostra, non vedeva la ragione che il Governo non lo secondasse, come aveva secondato altri municipii.

Le parole dell’Odescalchi ebbero uno strascico; il comm. Obbeghit, che faceva parte della Commissione finanziaria per l’esposizione, lo fece sfidare, ma la vertenza fu composta ail’amichevole.

L’esposizione finanziaria fatta dall’on. Grimaldi non potè incutere speranza nell’avvenire, poiché essa annunziava un notevole peggioramento nelle condizioni del bilancio ed era molto meno rosea di quella fatta l’anno precedente dall’on. Luzzatti, sotto il Governo del marchese di Rudinì. Le entrate diminuivano, l’aggio saliva, mancava in tutta Italia la moneta d’argento, e del peggioramento ognuno accorgevasi, anche senza che lo avesse annunziato il Ministro.

In mezzo alle agitazioni e agli scandali bancari nacque un nuovo pettegolezzo suscitato da alcuni articoli del Bonghi al Matin, e da un articolo nella Nuova Antologia. In questo, il vecchio parlamentare, l’amico provetto della dinastia, si arrischiava a dare alcuni consigli al Sovrano, e ne tratteggiare la figura del giovane Imperatore di Germania, lo dimostrava inferiore al padre. Si cominciò a dire che era uno scandalo, che un Consigliere di Stato scrivesse in un giornale francese contro il Governo del suo paese, e che in una rivista italiana avesse attaccato un Sovrano alleato dell’Italia. Questi mormorii contro il Bonghi partivano specialmente dagli amici del Ministero e dai giornali che gli erano ligi. Il Bonghi che era stato sempre ammesso ai ricevimenti della Regina, non fu neppure invitato quell’anno ai balli ufficiali, e anche il Bonfadini, pure Consigliere di Stato, veniva preso di mira, perchè combatteva nei suoi articoli il Ministero; ma le ire soprattutto si accumulavano sulla testa del Bonghi, il quale dopo qualche tempo venne deferito al Consiglio di Stato, che doveva giudicarne la condotta.

Fu un passo arrischiato e poco abile. Il Consiglio di Stato, presieduto dal senatore Tabarrini e nel quale in quel tempo sedeva ancora Silvio Spaventa, seppe tutelare i diritti del Bonghi come cittadino e giornalista, e dette un parere ben diverso da quello, che sperava il Ministero. Fu una sconfitta per il Giolitti, che si vuole non lo lasciasse punto indifferente.

Il 12 febbraio era stato tenuto al Teatro Nazionale un comizio col quale si chiedevano molte cose: luce sui fatti della Banca Romana, creazione di una Banca di Sconto, scioglimento della Camera di Commercio. È inutile dire che il comizio lasciò il tempo che trovava. Esso peraltro dimostrò sempre più come in città fosse sempre profondo il turbamento per i fatti bancari, e come si sentisse la necessità della creazione di un istituto, che aiutasse il piccolo commercio, travolto nella rovina della Banca Romana.

La questione delle Banche fu agitata anche al Senato per una interpellanza dell’on. Pierantoni. Egli parlò due giorni, ma in fine il Senato votò una mozione sospensiva, proposta dall’on. Ferraris. Alla Camera la discussione bancaria ricompariva ogni momento. Furono provocate alcune dichiarazioni dell’on. Nicotera su certi biglietti irregolari della Banca Romana, scoperti mentre egli era al potere, e che portavano la firma del governatore morto e del cassiere vivo.

Il dramma bancario ebbe il suo tragico epilogo il 20 febbraio. In quel giorno il presidente della Camera annunziò la morte di Rocco de Zerbi e questa notizia fece ovunque una profonda impressione. Rocco de Zerbi, afflitto da lungo tempo da una malattia di cuore, era stato ucciso dalla rivelazione dei fatti che pesavano su di lui. Dopo un lunghissimo interrogatorio al quale lo aveva sottoposto il giudice istruttore, era tornato a casa mortalmente colpito e nella mattina del 20 spirava nel suo villino in via Castelfidardo.