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Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/500

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circolazione biglietti pagabili a vista e al portatore fino al quadruplo del capitale effettivamente versato nella somma di 210 milioni.

Nulla era innovato rispetto al limite della circolazione, già consentita ai Banchi di Napoli e di Sicilia.

La circolazione di ciascun Istituto poteva eccedere i detti limiti, quando i rispettivi biglietti fossero per intero rappresentati da valuta metallica legale, o da oro in verghe esistente in cassa. Parimenti restava esclusa dai detti limiti la circolazione dei biglietti corrispondenti alle anticipazioni ordinarie e straordinarie fatte dagli Istituti allo Stato.

La riserva dei tre Istituti di emissione doveva esser portata, dentro un anno, al 40 per cento della circolazione, e doveva esser composta del 33 per cento in moneta italiana legale metallica, in monete estere ammesse al corso legale e in verghe d’oro, e per il 7 per cento poteva anche esser composta di cambiali sull’estero o certificati di depositi d’oro all’estero, con firme di prim’ordine, riconosciute come tali dal Ministero del Tesoro. Gl’Istituti potevano tenere come ulteriore garanzia dei biglietti emessi nei limiti sopraindicati, una scorta di rendita pubblica italiana, per un valore corrente non superiore a un terzo del capitale versato, o patrimonio posseduto.

Ogni biennio i due Ministeri dovevano eseguire una ispezione straordinaria degli Istituti di emissione, per mezzo di pubblici ufficiali, che non avessero preso parte a precedenti ispezioni dell’Istituto sul quale dovevano riferire a una Commissione permanente di vigilanza. Gli amministratori degli Istituti di emissione erano solidariamente responsabili verso i soci, verso l’ente morale, e verso i terzi dell’inadempimento della legge.

Lo schema di legge presentato al Parlamento, valse insieme con la nomina del Comitato dei Sette, a rimettere un poco di calma negli animi.

Due grandi feste dovevano celebrarsi in quell’anno a Roma: il giubileo episcopale di Leone XIII, e le nozze d’argento dei Sovrani, e nell’esito di esse era in certo qual modo impegnato l’amor proprio del partito clericale e di quello monarchico.

Il giubileo del Papa ricorreva in febbraio, e fino dal principio dell’anno si notava a Roma una grande affluenza di cardinali e di prelati. Per rappresentare le diverse nazioni alla festa pontificia e presentare augurii al Papa, gli ambasciatori di Austria, di Francia, di Spagna e di Portogallo, e il ministro di Baviera presso il Vaticano, avevano ricevuto credenziali speciali; il Belgio mando in febbraio il principe di Ligne, e la Germania il maresciallo von Löe.

I pellegrini pure erano venuti in numero infinito, guidati dai più devoti fra i loro capi. Fra questi non mancava il generale de Charette, nè il duca di Norfolk, che aveva preso una gran parte dell’Albergo di Roma, dove dava sontuosi ricevimenti ai patrizi inglesi, e ad altre persone straniere, che dividevano la sua fede.

Il giorno 16 il Papa scese in San Pietro e disse messa per i pellegrini italiani, i quali per gruppi furono ammessi al bacio del piede. Ogni gruppo umiliava il proprio obolo, e nello sfilamento furono notati quaranta pescatori napoletani in costume, recanti corbe di bellissimo pesce.

Il 19 febbraio vi fu pure in San Pietro la messa giubilare. Vi assistevano circa 60.000 persone e non accadde nulla di notevole, perchè la piazza era vigilata dai soldati. Durante quella messa suonarono tutte le campane di Roma.

I ricevimenti continui e le commozioni che essi producevano nell’animo del Papa, ne affievolirono molto la salute, tanto che le udienze dovettero essere sospese per qualche giorno a fine di concedere a Leone XIII tempo di rimettersi. Un dolore aveva turbato anche la serenità di quei giorni di festa; un grave dolore.