Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/59

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Il 1871.



Augurii al Quirinale e al Vaticano — Il processo per i fatti del dì 8 dicembre - Il principe Doria — Soccorsi agli inondati — La venuta dei Principi Reali — Feste pubbliche e ricevimenti del patriziato — Il Carnevale — Prediche e dimostrazioni — I professori vecchi-cattolici — La festa del 14 marzo — La legge delle Guarentigie Lo Statuto — La Capitale a Roma — Le sedi dei ministeri — Il pellegrinaggio dal Fapa — Il ritorno dei Principi Reali e del Re,


La mattina del 1° gennaio, mentre il Re d’Italia riceveva gli augurii delle deputazioni dei due rami del Parlamento, e rispondendo a quegli augurii, diceva di essere stato profondamente commosso per la sventura di Roma, Pio IX accoglieva pure gli omaggi degli ambasciatori, dei ministri e dei consoli delle potenze, secondo l’uso, e invece di parlare dei quartieri inondati, delle case crollate, della rovina di tante famiglie, pareva non avesse rivolta la mente altro che al grande fatto della venuta a Roma di Vittorio Emanuele. Notando il silenzio che su quel fatto serbavano tutti i diplomatici, col sorriso sulle labbra interrogò uno di essi, che abitava appunto sul principio del Corso, domandandogli se avesse veduto il Re di Sardegna. L’interrogato, che era un console, rispose di no, e il Pontefice non mancò di replicare: «Eppure ci viene assicurato che sia passato circa il mezzogiorno sotto le vostre finestre, dalle quali sventolava la bandiera della vostra nazione.

«Può darsi rispose il console; e il Papa soggiunse:

«È economico il doppio uso di quella bandiera, che serve per due Sovrani!»

Pio IX, al quale certo non si poteva negare molta prontezza di percezione, illustrava con queste parole la situazione che si andava delineando intorno a lui. Le potenze, alcune per riguardo alle antiche tradizioni, altre per non urtare il sentimento dei cattolici, lasciavano accreditati presso il Papa ambasciatori o ministri, ma di fatto lo abbandonavano, e con quella indifferenza che è propria di chi è noiato di una lunga questione, si rimettevano nel Governo italiano per la sicurezza del Papato. Esse dividevano la questione nazionale da quella internazionale, cioè il fatto dell’occupazione di Roma da quello della indipendenza del Pontefice nell’esercizio della sua missione spirituale, e siccome sotto questo rispetto il ministro italiano degli esteri aveva offerto spontaneamente ai Governi le più ampie assicurazioni, alle quali il Parlamento doveva dar forma di legge con le Guarentigie, esse non avevano desiderio, nè bisogno di protestare. E tanto meno esse appoggiavano il desiderio del Papa di lasciar Roma, come fin da principio consigliavalo un partito spesso pre-