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die nazionali. Anzi si può dire che molto si deve a quella milizia se il popolo uso prudenza in molte occasioni, vedendo offeso dal partito petulantissimo dei papisti il suo sentimento nazionale.

Quel partito era mirabilmente ordinato, pareva anzi che avesse imparato dagli antichi cospiratori.

Esso aveva fondato la «Società primaria Romana per gl’interessi cattolici» di cui era presidente il principe don Mario Chigi, e vice presidente l’avvocato Camillo Baccelli. Quella società aveva un consiglio direttivo composto di 24 consiglieri e 29 comitati, che tenevano sede in altrettante parrocchie, diretti da un prefetto e da un segretario. Fra quei prefetti vi erano molti commercianti, per meglio insinuarsi nel popolo, col quale avevano rapporti. Gli adepti non giungevano al migliaio, ma si arrabattavano tanto che parevano dieci volte tanti. Non so se il marchese Cavalletti appartenesse alla società, ma so che egli si fece promotore di una sottoscrizione per offrire un trono d’oro al Papa, in occasione del 23 agosto, perchè in quel giorno il pontificato di Pio IX raggiungeva la durata di quello di S. Pietro. Il Papa ricevè il marchese Cavalletti, che lo chiamò «Grande». Pio IX rispose che quell’appellativo non si poteva dare ai vivi, e che invece di spendere per offrirgli il trono d’oro, spendessero la somma raccolta ad aiutare i chierici che dovevano andar soldati.

Il trono gli fu offerto, e se non era d’oro, era di metallo dorato, e per farlo entrare in Vaticano fecero mille sotterfugi, fra gli altri quello di farlo passare dall’ambasciata francese.

I tridui che si fecero in quella occasione, ebbero un esito luttuoso. I tumulti incominciarono davanti alla chiesa di San Giovanni, perchè alcuni liberali giunsero sulla piazza in vettura con una bandiera. Si ripeterono alla Minerva la sera dopo. I fedeli, nell’uscir di chiesa, furono salutati da fischi. Nel parapiglia venne arrestato il Tognetti, che aveva già subito un processo per i fatti del di 8 dicembre 1870. Una turba di circa 400 popolani vuol liberarlo e si dirige verso San Marcello. Nel passare sotto il Collegio Romano, fischia e lancia insulti ai gesuiti. A San Marcello non vi erano nè il Tognetti nè gli altri arrestati, e la turba popolare corre a San Silvestro, ov’era la questura, e cerca di penetrare negli uffici. I soldati vedendo uscire sulla porta del «Rebecchino» un uomo con un coltello, fanno fuoco e lo uccidono. Era il cuoco dell’albergo, certo Ferrero, che era andato a vedere che cosa succedeva.

Il 20 settembre fu pietosamente commemorato l’ingresso delle truppe, con processioni recanti corone alla porta Pia, con largo tributo di fiori sulle tombe del Valenziani e del Pagliari, con l’invio di un gioiello al Rannaccini, ufficiale dei bersaglieri, ancora infermo per le ferite riportate l’anno prima.

Il 2 ottobre il comm. Biagio Placidi, istituì la festa scolastica della premiazione degli alunni delle scuole elementari; la sua nobile idea di associare l’infanzia alla festa del plebiscito fu molto encomiata, non così un suo inno d’occasione, che i Romani di quel tempo ripetono ancora col sorriso sulle labbra.

I professori dell’Università dovevano prestar giuramento nelle mani del rettore Carlucci prima che si riaprissero i corsi. Il professor Volpicelli fu il primo a giurare e sedici dei suoi colleghi giurarono pure, uno si rifiutò, tre erano assenti, e sette chiesero schiarimenti prima di compiere quell’atto. L’Università, come si vede, non era ancora purgata dall’elemento gesuitico, nonostante che molti fra i professori fossero passati a quella pontificia: il vecchio rettore Murra, così odiato a Roma, vedendo tanta resistenza per parte dei suoi antichi colleghi, avrà esultato nel suo vescovado di Sardegna.