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Pagina:Eneide (Caro).djvu/150

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[120-144] libro iii. 109

120Sparir l’odiosa terra, e gir da noi
Di mano in man fuggendo i liti e i monti.
     È nel mezzo a l’Egèo, diletta a Dori
Ed a Nettuno, un’isola famosa,
Che già mobile e vaga intorno a’ liti
125Agitata da l’onde errando andava;
Ma fatta di Latona e de’ suoi figli
Ricetto un tempo, dal pietoso arciero
Tra Gïaro e Micou fu stretta in guisa,
Ch’immota, e cólta, e consacrata a lui,
130Ebbe poi le tempeste e i venti a scherno.
Qui porto placidissimo e securo
Stanchi ne ricevette, e già smontati
Veneravam d’Apollo il santo nido;
Quand’ecco Anio suo rege, e rege insieme
135E sacerdote, che di sacre bende
E d’onorato alloro il crine adorno
Ne si fa ’ncontro. Era al mio padre Anchise
Già di molt’anni amico; onde ben tosto
Lo riconobbe, e con sembiante allegro
140Lui primamente, indi noi tutti accolti,
N’abbracciò, ne ’nvitò, seco n’addusse.
     Quinci al delubro, ch’ad Apollo in cima
Era d’un sasso anticamente estrutto,
Tutti salimmo; ed io devoto orai:


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