Pagina:Eneide (Caro).djvu/273

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232 l’eneide. [945-969]

945E richiamando lo seguiro invano.
Giunto che fu: Che furor, disse, è questo?
Dove, dove ne gite? e che tentate,
Misere cittadine? Ah! che non questi
De’ Greci i legni, o gli steccati sono.
950Voi di voi stesse le speranze ardete.
Io sono il vostro Ascanio. E qui l’elmetto,
Onde a la giostra era comparso armato,
Gittossi a’ piè. Corsevi intanto Enea:
Vi corsero de’ Teucri e de’ Sicani
955Le schiere tutte. Allor per téma sparse
Le donne per lo lito e per le selve
Se ne fuggiro, ed appiattârsi ovunque
Ebber di rupi o di spelonche incontro:
Chè pentite del fallo odiâr la luce,
960Cangiâr pensieri, e con l’amor de’ suoi
Iri del petto disgombrârsi e Giuno.
     Ma non però l’indomito furore
Cessò del foco; chè la secca stoppa,
E l’unta pece, e gli aridi fomenti
965L’avean fin dentro a le giunture appreso;
Onde nel molle, ancor vivo, esalava
Un lento fumo, e penetrava i fondi
Sì, ch’ogni forza, ogni argomento umano,
E ’l mare stesso, che da tante genti


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