Pagina:Eneide (Caro).djvu/528

Da Wikisource.
[970-994] libro x. 487

970Verace incontro, e come Citerea
Sostenta i Teucri suoi. Vedi com’essi
Non son nè valorosi nè guerrieri,
E i cor non hanno ai lor perigli eguali.
A cui Giunon tutta rimessa, Ah, disse,
975Caro consorte, a che mi strazi e pugni,
Quando è pur troppo il mio dolor pungente
E pur troppo tem’io le tue punture?
Ma se qual era e qual esser potrebbe,
Fosse or teco il poter de l’amor mio,
980Teco che tanto puoi, da te negato
Non mi fôra, Signor, ch’oggi il mio Turno
Fosse da la battaglia e da la morte
Per me sottratto e conservato al vecchio
Dauno suo padre. Or pèra, e col suo sangue,
985Che pure è pio, la cupidigia estingua
De’ suoi nemici. E pur anch’egli è nato
Dal nostro sangue; e pur Pilunno è quarto
Padre di lui: da lui pur largamente
Gli altar molte fïate e i tempii tuoi
990Son de’ suoi molti doni ornati e carchi.
     Cui del ciel brevemente il gran motore
Così rispose: Se indugiar la morte,
Ch’è già presente, e prolungare i giorni
Al già caduco giovine t’aggrada


[608-622]