Pagina:Eneide (Caro).djvu/540

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[1270-1294] libro x. 499

1270Grandine a nembi, il vïator talora,
Ch’in sicuro a l’albergo è già ridotto,
Ogni agricola vede, ogni aratore
Fuggir da la campagna: o qual d’un greppo,
D’una ripa, o d’un antro il zappatore,
1275Piovendo, si fa schermo, e ’l sole aspetta
Per compir l’opra; in quella stessa guisa,
Tempestato da l’armi Enea la nube
Sostenea de la pugna; e Lauso intanto
Minacciando garria: Dove ne vai,
1280Meschinello, a la morte? A che pur osi
Più che non puoi? La tua pietà t’inganna
E sei giovane e soro. Ei non per questo,
Folle, meno insultava: onde più crebbe
L’ira del teucro duce. E già la Parca,
1285Vòta la rócca e non pieno anco il fuso,
Il suo nitido filo avea reciso.
Trasse Enea de la spada, e ne lo scudo,
Che liev’era e non pari a tanta forza,
Lo colpì, lo passò, passògli insieme
1290La veste che di seta e d’òr contesta
Gli avea la stessa madre; e lui per mezzo
Trafisse, e moribondo a terra il trasse.
     Ma poscia che di sangue e di pallore
Lo vide asperso e della morte in preda,


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